Il Sole 15.6.17
Passi indietro
Il rischio di processi infinit
Filippo Sgubbi
Università Luiss-Roma
Il
disegno di legge di riforma del diritto e della procedura penale è
stato definitivamente approvato, e con uso della fiducia: dopo la
promulgazione da parte del Presidente della Repubblica diventerà legge.
A
nulla sono valsi gli interventi provenienti da varie fonti (docenti,
operatori, Unione Camere penali) volti a richiamare il legislatore -
Governo e Parlamento - alle proprie responsabilità istituzionali.
Ma
è risaputo che la materia penale è da tempo entrata nel dibattito
politico come tema primario: e questo non giova certo alla redazione
competente e razionale dei testi di legge. Il che costituisce un serio
pregiudizio in termini di certezza del diritto, proprio in un ambito in
cui la sicurezza dei confini fra lecito e illecito e le garanzie del
giusto e celere processo dovrebbero essere massime.
Dal dibattito
parlamentare è così uscito un provvedimento estremamente complesso,
disorganico, contraddittorio e non coordinato con il sistema normativo
vigente.
La nuova disciplina della prescrizione porta a un
allungamento consistente della sua durata: al punto che per taluni reati
(dalla corruzione, alla violenza sessuale, alla pedopornografia)
l’imputato potrà restare assoggettato – personalmente e con i propri
beni sequestrati - a un procedimento penale per una larga parte della
propria vita. Certo, si tratta di reati gravi, ma è egualmente iniqua
l’irragionevole durata del processo penale.
Sul piano processuale,
la riforma, appena approvata dalla Camera dei deputati, lo ripetiamo,
in via definitiva, è frammentaria e decisamente complicata: anche a
causa di una tecnica legislativa discutibile, seppur ormai ampiamente
praticata: inserire o abrogare commi o parti di testo all’interno di
singoli commi, col risultato di disorientare perfino l’addetto ai
lavori.
Comunque, in questo contesto, emergono alcune novità meritevoli di segnalazione.
La
più eclatante è la reintroduzione del cosiddetto patteggiamento in
appello: uno strumento deflattivo che aveva dato buona prova di sé, ma
che era stato abrogato una decina di anni fa sull’onda emotiva di una
qualche vicenda processuale; non era scomparso del tutto, perché nella
pratica era rimasto occasionalmente in vita, seppur in modo informale e
di fatto.
Il meccanismo è semplice: la parte rinuncia a taluni
motivi concordando con la Procura Generale l’accoglimento di altri
motivi d’appello, generalmente concernenti la quantificazione della
pena; determinando con ciò uno sfoltimento dei giudizi d’appello.
Ma
vi sono altre disposizioni che è opportuno segnalare per le loro
potenzialità applicative. Mi riferisco alle modifiche al rito abbreviato
e, in particolare all’articolo 438 del Codice di procedura penale: la
riforma stabilisce che la richiesta di rito abbreviato determina la
sanatoria delle nullità (salvo le nullità assolute) e preclude ogni
questione sulla competenza per territorio del giudice. Il che comporta
un riflesso significativo sulla conduzione dell’udienza preliminare, che
deve diventare necessariamente “bifasica”, contrariamente alle tendenze
dominanti odierne. Si impone quindi che il giudice dell’udienza
preliminare (Gup) decida le questioni di nullità, inutilizzabilità e
competenza prima che l’imputato richieda il rito. Altrimenti l’accesso
al rito significherebbe un sacrificio indebito di garanzie processuali,
con rinuncia a una serie di questioni che attengono alla utilizzabilità
degli atti e attinenti all’individuazione del giudice naturale.
Altre
disposizioni concernono la disciplina delle impugnazioni: mirano a
imporre una redazione dei motivi di gravame molto più articolata e
precisa e precludono alla parte personalmente di provvedere al ricorso
per Cassazione.
Da ultimo, ci si deve soffermare sulla disciplina del processo a distanza.
Le
nuove disposizioni estendono decisamente questa modalità di
celebrazione del processo penale e arrivano al punto di consentire alle
parti e ai loro difensori di intervenire a distanza, «assumendosi
l’onere dei costi del collegamento». Il processo può svolgersi così
perfino in un’aula vuota, alla sola presenza dei giudici e del pubblico
ministero.
Le decise critiche che sono state rivolte a questa
parte della riforma sono ampiamente giustificate: risultano obliterati
alcuni canoni fondamentali del giusto processo, quali il principio del
contraddittorio, il principio dell’immediatezza e anche il principio
costituzionale del diritto di difesa.