il manifesto 9.6.17
I franchi tiratori impallinano l’intesa. Il «tedesco» non vola
Legge
elettorale. Con un voto semi-segreto passa un emendamento e scoppia il
caos. Si torna in commissione. Il Pd accusa M5S, ma dalle luci mostrate
per un errore dal tabellone si capisce che molti siluri sono dem
di Andrea Fabozzi
Adriano
Zaccagnini è un trentenne deputato di Mdp, eletto con Grillo e già
passato attraverso altri due gruppi parlamentari. Qualche tempo fa ha
messo in imbarazzo i suoi nuovi compagni bersaniani per aver organizzato
alla camera un convegno del fronte anti vaccini.
Ieri mattina,
durante il dibattito sulla legge elettorale, è stato lui a interrompere
la presidente della camera Laura Boldrini chiedendo la parola, mentre
stava aprendo la prima votazione segreta della giornata. Si è inserito
con un intervento non fondamentale, contro i grillini e la loro
intenzione di riprendere con gli smartphone le votazioni segrete.
Boldrini lo ha quasi subito fermato: mi faccia concludere. Solo che a
quel punto la presidente, che lo aveva già detto, si è dimenticata di
ripetere che la votazione sull’emendamento Biancofiore era segreta. Ha
aperto il voto e per pochi secondi sul tabellone luminoso della camera è
apparso come i deputati stavano effettivamente votando: rosso i
contrari, verde i favorevoli. Poi i registi dell’apparato tecnico di
Montecitorio sono intervenuti e i pallini sul tabellone sono diventati
tutti azzurri, come nel voto segreto.
Ma pochi secondi vuol dire
decine di foto e la firma sull’omicidio della legge elettorale è
decollata subito in rete. Al Pd non è più riuscito di scaricare la
responsabilità dell’assassinio sui grillini.
Perché il tabellone
ha mostrato il voto favorevole all’emendamento dei grillini, ma era una
non notizia. Si votavano in realtà due emendamenti gemelli, uno dei
quali era dei 5 Stelle che erano poco prima intervenuti a favore.
Un’altra era l’incoerenza dei grillini, che su quello stesso emendamento
avevano sorvolato in commissione per non rompere l’accordo generale
sulla legge elettorale del quale erano parte, con Pd, Forza Italia e
Lega. Dunque i 5 Stelle votano a favore ma a favore si vedono anche
alcuni pallini verdi nella parte dell’emiciclo del Pd. Non tanti,
sette-otto, poi l’immagine cambia prima che tutti riescano a votare.
Ma
ecco la prova: chi ha contato i pallini rossi e quelli verdi nelle foto
scattate durante l’incidente tecnico, ha scoperto che l’emendamento
sarebbe stato respinto. Anche con tutti i voti favorevoli dei grillini
acquisiti. Quando i pallini sono diventati azzurri e il voto veramente
segreto, invece, ecco che la situazione si è rovesciata: 270 favorevoli,
256 contrari, emendamento approvato. E una sessantina di franchi
tiratori tra Pd, Fi e Lega. Ragionevolmente quasi tutti del Pd.
L’emendamento
che è passato riguarda una piccola regione, il Trentino Alto Adige, ma
una grande e antica questione politica. Perché la proposta di legge
elettorale cosiddetta italo-tedesca ripeteva il trattamento di favore
per la rappresentanza degli altoatesini di lingua tedesca già introdotto
dall’Italicum. Confermando il patto Pd-Svp che consente a questi due
partiti di dividersi i seggi di quella regione. L’approvazione
dell’emendamento estende invece al Trentino le stesse regole del resto
d’Italia ma soprattutto mette in crisi il patto Pd-Svp, che in questa
legislatura è stato più volte decisivo al senato.
La legge dunque
deve tornare in commissione, così non può andare avanti e assai
probabilmente non può andare avanti e basta. Però se ne riparlerà la
prossima settimana. Perché un’altra spiegazione del rogo di ieri mattina
è nella prossima domenica elettorale. Quel patto tra democratici e
Movimento 5 Stelle era un pessimo biglietto da visita in vista del voto
nelle città, adesso i due partiti si sono regalati un ultimo botto di
campagna elettorale. Da martedì si ragiona.
Il ragionamento di
Renzi però è sempre lo stesso, mettere in pratica la filastrocca di
Salvini: non importa con quale legge elettorale, basta che si vada a
votare subito. La legge che c’è sono due leggi, un moncone di Italicum
per la camera e lo spezzatino del Porcellum per il senato. Quel che
resta dopo due sentenze della Consulta. Per «armonizzarle» in parlamento
come chiede il presidente Mattarella non c’è più tempo. Un decreto non
si può fare per costituzione e legge ordinaria (sono vietati in materia
elettorale). Ma anche a mettere da parte le regole, il decreto andrebbe
poi convertito.