il manifesto 6.6.17
Il vero nemico: l’ascesa della destra israeliana
Palestina/Israele
1967-2017. Dall'euforia per la vittoria della Guerra dei Sei Giorni al
pantano dell'occupazione infinita. Mezzo secolo dopo la realtà
coloniale, la distruzione del tessuto democratico - anche per gli
israeliani ebrei -, la corruzione dell’occupazione e del nazionalismo
fondamentalista diventano dominanti
di Zvi Schuldiner
A
due anni dalla fine della seconda guerra mondiale, 50 milioni di morti,
l’Europa semidistrutta inizia a risollevarsi dall’inferno e gli ebrei
cominciano a comprendere il prezzo crudele del nazismo che ha sterminato
un terzo del loro popolo, sei milioni di persone.
Nel 1947 l’Onu
decide la spartizione della Palestina mandataria in due Stati, uno arabo
e uno ebraico, con Gerusalemme come città internazionale. Inizia il
declino mondiale dell’Impero inglese: nel 1948 gli inglesi si ritirano
dalla Palestina, il 14 maggio 1948 Israele dichiara l’indipendenza, che
per i palestinesi è la Naqba, la catastrofe; Usa e Urss riconoscono lo
Stato ebraico e su questo premono sugli altri paesi: per le due
superpotenze si tratterà di un fattore vantaggioso per i rispettivi
interessi nella regione.
VERSO LA GUERRA. Nel maggio 1967 il
premier di Israele è Levi Eshkol, che aveva dato al governo laburista un
taglio moderato, diverso dal governo del «padre fondatore» Ben Gurion.
Si respira un’aria nuova in Israele, Stato nemmeno ventenne.
Nel
1966 il primo ministro aveva posto fine al triste «governo militare» a
cui erano stati sottoposti i cittadini arabo-palestinesi di Israele. I
mezzi di comunicazione si rafforzano e la radio e la tv pubblica
sperimentano un minore controllo governativo.
A maggio il
comandante generale dell’esercito Yitzhak Rabin va a incontrare Eshkol
con notizie preoccupanti: il presidente Nasser ha spedito soldati nel
Sinai e chiuso l’accesso via mare a Eilat, sud di Israele.
Il
pericolo di guerra diventa imminente e entrambe le parti danno a
intendere che si tratterebbe più che altro di una dimostrazione di
forza, per alcuni un tentativo di Nasser di farsi leader del mondo
arabo. Altri non tengono conto dell’escalation contro la Siria, iniziata
da Rabin mesi prima.
Nel ricordo dell’olocausto, comincia a
dominare la paura, la costante sensazione che nemmeno lo Stato possa
assicurare l’esistenza del popolo ebraico. In diverse città, i rabbini
militari benedicono piazze pubbliche perché servano da cimiteri, se
troppe saranno le vittime (ma, nel 1972, il generale Bar Lev –
comandante dell’esercito e numero due nella guerra – dichiarerà che
l’esercito non aveva mai parlato di ’sopravvivenza’).
Chi pensa
che le superpotenze freneranno il processo sbaglia: sia l’Urss che gli
Usa giocano in modo sospetto, per errori di calcolo o per un vero
disegno.
Scoppia la guerra del 1967. Tre ore dopo l’aviazione
egiziana è già spazzata via, i giordani credono alla radio egiziana che
parla di insistenti disfatte sioniste e muovono contro Israele su quello
che si credeva un fronte calmo, Gerusalemme e la Cisgiordania cadono in
mani israeliane e tre giorni dopo la Siria perde il Golan.
EUFORIA.
In Israele si passa dalla paura all’euforia, vengono allo scoperto
latenti pulsioni di tipo colonialistico, iniziano a sentirsi le arie
minacciose del fondamentalismo religioso. La Bibbia come guida per il
turismo politico; il Muro del pianto a Gerusalemme, fino a poco prima
irrilevante nella vita politica, diventa un luogo sacro, anche di
recente accarezzato tanto dal gran rabbino militare quanto da Donald
Trump.
Il professor Yeshayahu Leibowitz poco dopo la guerra
avverte: «O usciamo dai territori che abbiamo occupato o dovremo
scontrarci con tutto il mondo islamico, o usciamo o diventeremo un
popolo di agenti segreti!».
L’entusiasmo della «destra» è enorme e
comprende vari ministri laburisti, come Ygal Alon, che danno avvio al
processo coloniale nei Territori; sono i padri delle prime colonie e
sanno che: ogni colonia delimiterà una nuova mappa.
Alcuni
ministri avvertono del pericolo già nel 1967: diventare forza occupante
ci porterà a scontri sanguinosi, perché i popoli non accettano il gioco
colonialista. A poco a poco i frutti della vittoria ottenebrano la
maggioranza degli israeliani. L’unica «democrazia» si avvia verso
l’apartheid.
NESSUNA ECCEZIONE. Israele non è un’eccezione:
popoli, società, Paesi abbandonano processi coloniali solo se il prezzo è
molto alto. A partire dal 1967 gli israeliani cominciano ad affrontare
due processi diversi che non sembrano connessi. Nei Territori Occupati
la popolazione palestinese reagisce in modo complesso.
La politica
del ministro della difesa Dayan che apre le porte di Israele ed elimina
la «linea verde» (linea del cessate il fuoco del 1948) apre le porte a
150mila palestinesi che da Gaza e dalla Cisgiordania vengono a lavorare
in Israele. Decine di migliaia di israeliani si recano come turisti nei
Territori Occupati. Luoghi storici, Betlemme, Gerico, Ramallah,
Gerusalemme Est; ristoranti, chiese, passeggiate.
E i livelli
molto diversi dell’economia israeliana e dei Territori attraggono i
lavoratori palestinesi che arrivano in gran numero benché
sottopagati.L’economia dei Territori Occupati cresce in modo dipendente,
ma la crescita permette di alleviare il prezzo dell’occupazione. Il
carattere «liberale» dell’occupazione – in realtà mai esistito –
facilita la repressione; servizi segreti e forze militari si avvalgono
ancora della vittoria militare, anche se ben presto comincia la
resistenza. Che, tuttavia, non è così forte da diventare un problema
serio.
Quando le azioni militari palestinesi a Gaza aumentano, nel
1970-1971, la repressione dell’allora generale Ariel Sharon è molto
forte: la regione viene acquietata con la violenza.Il «terrore», i
nemici sono quelli di «fuori»: l’Olp, il Fronte democratico, il Fronte
popolare. «All’interno possiamo metterci d’accordo, i muratori della
casa di fronte mi salutano sempre, i palestinesi sono bravi meccanici,
nei ristoranti di Betlemme sono cordiali»…ma i terroristi sono terribili
e con loro non si può trattare!
OCCUPANTE E OCCUPATO. Non c’è
bisogno di leggere Frantz Fanon per ricordare che l’occupante, il
colono, difficilmente capisce cosa accade al colonizzato. La destra
nazionalista e i suoi alleati fondamentalisti religiosi si rafforzano
enormemente; mentre si costruiscono nuove colonie, la cecità prevale e
solo nel 1987 arriva la scoperta, il dramma dell’Intifada: i palestinesi
sono esseri umani e si ribellano.
Durante la prima Intifada,
tuttavia, era possibile portare gruppi israeliani a parlare con i
palestinesi nei Territori. Nel 1989 intervistavo su queste colonne il
leader palestinese Faysal Hosseini, che sosteneva che era il momento di
parlare con la società israeliana.
La pace possibile crea euforia
in entrambi i popoli, ma molto presto tornano le confische delle terre.
Gli israeliani che si vedono sempre come vittime del terrore, si
sorprendono quando il medico Baruch Goldstein uccide 29 palestinesi a
Hebron, si sorprendono delle ondate di terrore palestinese e si
sorprenderanno quando nel 1995 il premier Rabin viene assassinato da un
fondamentalista ebreo, parte della coalizione dominante che a poco a
poco ci ha portato alla situazione attuale.
Sono i giorni nei
quali Trump fa il suo giro di pagliaccio nella regione: una parte della
destra israeliana è felice per l’arrivo di un rappresentante della
versione peggiore e più estrema dell’imperialismo.
Trump viene
dichiarato sionista onorario. Trova anche molto simpatici i despoti
sauditi…che saranno mai decine di decapitati l’anno scorso nel reame,
visto che non ce li esibiscono come fa Daesh (il sedicente Stato
islamico)?
Ma quando The Donald lascia la regione per approdare a
fare danni nella problematica Europa di oggi, si inizia a sentire che
egli chiede alcuni limiti all’onnipotente potere israeliano. In Israele,
l’«unica democrazia» governa con due milioni di cittadini
arabo-palestinesi che potranno essere ufficialmente discriminati se la
legge proposta un mese fa va avanti. L’unica democrazia della regione
mantiene sotto il giogo dell’occupazione oltre quattro milioni di
palestinesi sprovvisti dei più elementari diritti civili e umani.
L’unica
democrazia continua ad attuare una repressione a causa della quale
migliaia di palestinesi sono morti, vittime delle forze di sicurezza, e
centinaia di migliaia sono passati per le carceri dell’occupante. Un
professore di storia direbbe che il deputato Smotritz del partito
nazionale religioso parla del futuro dei palestinesi nei Territori come
potevano parlare dei gerarchi nazisti.
Mezzo secolo, sì, significa
che la realtà coloniale, la distruzione del tessuto democratico – anche
per gli israeliani ebrei -, la corruzione dell’occupazione e del
nazionalismo fondamentalista diventano dominanti.
L’atmosfera fra
il 1948 e il 1967 – che certo non era stata ideale – ormai suscita
nostalgia, in un paese il quale, con un’ostinazione che dà le vertigini,
si avvicina a un momento molto pericoloso della propria storia.
Il
fondamentalismo nazionalista è un cancro più pericoloso dei nemici
reali o immaginari. Il trionfo e l’euforia del 1967 sono un passato
morto e sepolto di fronte a un presente che promette più sangue, più
disastri.