martedì 6 giugno 2017

il manifesto 6.6.17
Dalla liberazione alla finzione di Stato
Palestina/Israele 1967-2017. La sostituzione dell’Olp con l’Anp ha trasformato la società palestinese: operai invisibili, borghesia «reclutata». E sul piano politico la lotta di liberazione ha fatto posto all'illusione di poter creare uno Stato sovrano
di Jamil Hilal


La guerra del giugno 1967 ha modificato la mappa politica della regione, trasformando la questione palestinese da “questione di rifugiati” nella causa di un popolo in lotta per la sua libertà e la sua autodeterminazione.
Per i palestinesi, la guerra di giugno significò l’estendersi della colonizzazione israeliana a tutta la loro terra, la Palestina storica, e, contemporaneamente, la rinascita del loro movimento nazionale con il nome di Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp). Entrambi gli eventi hanno avuto enormi conseguenze sulla politica e la società palestinesi.
La riunificazione de facto della Palestina storica, seppure sotto il dominio coloniale militare israeliano, ha permesso ai palestinesi di Cisgiordania e Gaza di riavvicinarsi ai palestinesi in quell’area del paese che il movimento sionista aveva dichiarato Stato di Israele nel 1948.
L’attenuarsi del controllo dei regimi arabi sui palestinesi, a seguito della sconfitta subita nella guerra dei sei giorni (in particolare in Giordania, Siria e Libano), ha dato, già dal 1968, ai gruppi di resistenza palestinesi emersi negli anni ’50 e ’60, l’opportunità assumere il controllo dell’Olp trasformandolo in un movimento nazionale radicato in tutte le comunità palestinesi. L’Olp divenne ovunque e assai rapidamente il rappresentante del popolo palestinese.
L’occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ha obbligato l’Olp a collocare i propri quartieri generali e le sue basi militari nei paesi arabi confinanti, dove si svilupparono anche le organizzazioni di massa ad essa legate (organizzazioni di donne, studenti, lavoratori, insegnanti, giornalisti, scrittori…).
L’impegno nella lotta armata e a favore della mobilitazione e organizzazione popolare ha inevitabilmente portato l’Olp a scontrarsi con gli stati arabi (in Giordania, Siria e Libano) e ha convinto la sua leadership dell’importanza di avere una sua propria base territoriale.
Ciò spiega, insieme ai rapidi stravolgimenti della situazione regionale e internazionale, il cambiamento avvenuto nel programma politico dell’Olp all’inizio degli anni ’70: l’abbandono dell’obiettivo di uno Stato laico e democratico per tutti i suoi cittadini, indipendentemente dall’appartenenza etnica e/o religiosa a favore di una soluzione basata sulla partizione della Palestina storica.
Nel 1974 l’Olp dichiarò di accettare una soluzione basata sulla creazione di uno stato sovrano palestinese «su ogni territorio liberato dall’occupazione israeliana».
Nel 1988, poi, dopo lo scoppio della prima Intifada, l’Olp esplicitamente dichiarò la propria accettazione di una soluzione fondata su due stati (uno palestinese e uno israeliano) e la sua intenzione di riconoscere lo Stato di Israele.
Il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere da parte dell’Olp venne poi ufficializzato nel 1993 con gli Accordi di Oslo, frutto dell’impatto delle enormi trasformazioni nei rapporti di potere nella regione e a livello internazionale a seguito della guerra del Golfo del 1991 e della disintegrazione dell’Unione Sovietica, il principale alleato internazionale dell’Olp.
E’ da sottolineare tuttavia come non ci sia mai stato un reciproco riconoscimento da parte di Israele del diritto palestinese ad uno Stato sovrano in Cisgiordania e a Gaza con Gerusalemme est come capitale, né tanto meno del diritto dei rifugiati palestinesi di tornare nelle proprie case come stabilito dalle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Né gli accordi di Oslo né la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) nel 1994 hanno spinto Israele a modificare le proprie politiche nei confronti dei palestinesi.
Quello a cui si è assistito da Oslo in poi sono state l’israelizzazione di Gerusalemme est e l’accelerazione della frammentazione del territorio palestinese in «riserve» o «bantustan»: città e villaggi palestinesi circondati da colonie israeliane, bypass road (strade riservate al traffico dei coloni israeliani) e Area C (il 62% della Cisgiordania).
Questo processo è andato di pari passo con l’istallazione di un sistema di checkpoint militari, la pratica della detenzione amministrativa, il controllo del movimento dei palestinesi attraverso il rilascio di permessi israeliani, il controllo delle risorse naturali e dei confini, la demolizione delle case e la confisca di terre, la frammentazione della fragile economia della Cisgiordania e di Gaza. Ma, soprattutto, l’Anp è stata vincolata ad un sistema di coordinamento sulla sicurezza, con tutte le conseguenti implicazioni (peraltro unilaterali) di una simile relazione.
La creazione dell’Anp in un contesto di occupazione e di colonialismo di insedimento ha avuto un impatto profondo sulla società palestinese. Le istituzioni dell’Olp sono state congelate mentre l’Anp concentrava i suoi sforzi nella costruzione di strutture quasi-statali con la speranza (l’illusione) che la fondazione di uno Stato sovrano palestinese stesse per realizzarsi. Fin dalla sua nascita, l’Anp è stata resa dipendente da aiuti stranieri e donazioni e dunque soggetta a pressioni esterne.
La struttura di classe palestinese è stata radicalmente trasformata dalla creazione dell’Anp che ha dato vita a una larga classe media. Una significativa porzione della forza lavoro palestinese infatti è stata impiegata dai due principali partiti (Fatah e Hamas), nella pubblica amministrazione, nelle scuole, negli ospedali e negli apparati di sicurezza così come nelle organizzazioni non governative che operano in Cisgiordania e Gaza.
Anche il settore dei moderni servizi (banche, assicurazioni e telecomunicazioni) sì è sviluppato assorbendo importanti settori della classe media.
Questa nuova classe media dipende per la sicurezza del suo reddito e per la sua sopravvivenza dalla stabilità della Anp. Essa si è così trasformata in una forza politica conservatrice.
D’altra parte, oltre il 90% della classe operaia palestinese è frammentata in decine di migliaia di piccolissime imprese (che impiegano meno di cinque persone) e solo una limitatissima percentuale è organizzata in sindacati. Come classe essa rimane esposta ad alti tassi di disoccupazione, bassi salari e a povertà diffusa.
Una simile trasformazione socio-economica e politica spiega perché la politica della classe dirigente palestinese sia significativamente cambiata, e l’enfasi non sia più posta sulla liberazione quanto invece sulla costruzione di uno stato, anche se in un contesto di occupazione coloniale.
Eppure, la continua colonizzazione israeliana, la repressione, l’assedio, la discriminazione e la persistente deprivazione di un futuro libero e dignitoso mantengono viva una situazione esplosiva che potrebbe erompere in qualsiasi momento in nuove forme di resistenza.