il manifesto 3.6.17
«L’Unità fondata da Gramsci uccisa dall’incuria di questi ultimi due anni»
Editoria.
L'editore sospende le pubblicazioni. Martedì incontro decisivo alla
Fnsi. I lavoratori dell'Unità impaginano il giornale solo per l'on line e
scrivono l'ultimo editoriale
L’assemblea delle redattrici e dei redattori de l’Unità
Questo
è l’editoriale dell’Unità di sabato 3 giugno, firmato dall’assemblea
delle redattrici e dei redattori, dopo la comunicazione da parte
dell’azienda della decisione di sospendere le pubblicazioni.
Ci
sono storie che non dovrebbero finire, per la storia che hanno
raccontato e testimoniato, per quella che hanno cercato di capire, per
chi ci ha creduto, per chi ci ha messo passione, professionalità e
attaccamento.
Questa storia, la nostra, hanno deciso di chiuderla
nel modo peggiore, calpestando diritti, calpestando lo stesso nome che
porta questa testata, ciò che ha rappresentato e ciò che avrebbe potuto
rappresentare.
L’editore ha comunicato, con una lettera spedita
alle ore 22.49 del 1° giugno, che incontrerà la Federazione nazionale
della stampa, Stampa Romana e il Cdr per illustrare la situazione
economico-finanziaria del giornale e la «conseguente decisione di
interrompere volontariamente la pubblicazione». «Riteniamo – aggiunge
l’amministratore delegato Guido Stefanelli – che questa sia la scelta
più giusta da fare in attesa di portare a compimento le procedure di
ristrutturazione aziendale».
Una decisione grave, arrivata dopo
giorni di assenza del giornale dalle edicole perché lo stampatore ha
fermato le rotative per la mancata riscossione dei crediti maturati e
per i quali da mesi chiedeva il relativo pagamento.
Se si è
arrivati fino a questo punto non è stato per un improvviso fatto
esterno, ma per una decisione più volte annunciata dallo stesso
stampatore. Nel silenzio più totale da parte dell’amministratore
delegato abbiamo tuttavia continuato a svolgere il nostro lavoro
confezionando un giornale che nessuno ha potuto acquistare in edicola,
destinato soltanto agli abbonati che per alcuni giorni neanche
riuscivano a scaricarlo nella sua versione online. Nel silenzio più
assoluto da parte di un’azienda che non ha neanche ritenuto di dover
comunicare che non avrebbe pagato gli stipendi ai lavoratori e alle
lavoratrici.
E che oggi dà notizia di una ristrutturazione
annunciata da mesi ma mai avviata davvero. In questi mesi l’azienda, la
stessa che in due anni non ha presentato un seppur minimo piano
industriale, ha solo più volte minacciato licenziamenti collettivi, come
se a pagare il conto della mancata gestione aziendale dovessero essere i
lavoratori e le lavoratrici.
Tutto questo è avvenuto in un
giornale che si chiama l’Unità, che ha fatto della difesa dei lavoratori
il suo tratto distintivo, e di cui ancora oggi il Partito democratico è
socio al 20% attraverso la fondazione Eyu.
Non siamo cioè di
fronte a una società composta di soci privati tout court: siamo di
fronte ad un’impresa editoriale che ha al suo interno un partito
politico che ha fatto della difesa dei diritti il suo cavallo di
battaglia. Un Pd che ha assistito a quanto sta avvenendo da mesi,
compreso il ricatto al sindacato di non pagare gli stipendi fino a
quando lo stesso cdr non avesse convinto ex dipendenti a rinunciare ai
loro diritti sanciti dal giudice del lavoro, senza prendere una forte
posizione pubblica.
Ci sono storie ed imprese editoriali che
possono iniziare con la migliore delle intenzioni e poi, malgrado ogni
sforzo, scontrarsi con una competizione su un mercato difficile e in
forte crisi, e dunque prendere atto di non avercela fatta ma garantendo
sempre, fino all’ultimo momento, il rispetto dei diritti dei propri
dipendenti, delle relazioni sindacali, della professionalità di tutti.
Questa storia, la nostra, invece, è stata scritta in un altro modo.
Nessun
progetto, nessun piano industriale, relazioni sindacali calpestate,
dignità professionali umiliate, tanto da arrivare nell’incredibile
situazione di dover confezionare un quotidiano che non va in edicola.
Anche in questa giornata siamo qui, al lavoro, per un giornale diverso
da tutti quelli finora scritti: il più doloroso, il più triste.
Perché
l’Unità finisce oggi, con questo numero, visto che la redazione sarà in
sciopero fino al giorno dell’incontro in Fnsi con l’editore. Fino a
quando non ci diranno cosa intendono fare del futuro di questo giornale,
con quali risorse, con quale progetto industriale ed editoriale e in
quali tempi.
Non ci fidiamo più, troppe promesse disattese, troppi
strappi a qualunque civile e normale dialettica tra azienda, sindacato e
lavoratori. Quello che chiediamo con forza a tutti i soggetti in campo è
di avere almeno il rispetto che meritano i lavoratori e le lavoratrici
di questo giornale. Il rispetto per l’Unità, fondata da Antonio Gramsci e
uccisa giorno dopo giorno dall’incuria di questi ultimi due anni.
In
questa storia sono in diversi a dover rispondere di quanto accaduto.
Gli editori di maggioranza, la Piesse di Massimo Pessina e Guido
Stefanelli, Eyu, che fa capo al Partito Democratico, e lo stesso
segretario del Pd Matteo Renzi a cui più volte ci siamo rivolti senza
mai ottenere una risposta o una parola di solidarietà nei momenti più
duri della lotta quando per otto giorni di seguito la redazione è scesa
in sciopero ad oltranza.
Un silenzio che ha ferito tutti coloro
che in questo giornale hanno lavorato accettando condizioni spesso al
limite dell’accettabile. Ci chiediamo se anche di fronte a questa
decisione dell’editore proseguirà la scelta del silenzio.
Ai
nostri lettori diciamo che noi ce l’abbiamo messa tutta. Fino all’ultimo
momento. Malgrado tutto, malgrado le scelte e le inerzie dei colpevoli.
Anche noi odiamo gli indifferenti, e in questa storia siamo gli unici a
non esserlo stati.
Le storie possono essere scritte in tanti modi. Per noi hanno scelto il peggiore.