il manifesto 21.6.17
Dal Brancaccio inizia un nuovo percorso, non ancora un partito
Sinistra.
Mai col Pd? Su questo ho un dubbio, in quel corpo storico c’è una
memoria che coinvolge ancora molti giovani, protagonisti anche
all’assemblea della nuova Alleanza
Luciana Castellina
Se
ci fosse stato ancora bisogno di dimostrare che i grandi giornali hanno
smesso di raccontare quello che succede per dar spazio solo ai dettagli
che servono a corroborare la loro linea politica, l’assemblea del
Brancaccio rappresenterebbe la migliore prova. Qualche migliaio di
persone, protagonisti molti giovani (di per sé una notizia), 40.000 che
seguono in streaming, decine di interventi che raccontano l’Italia
invisibile alla vecchia politica ufficiale ma che esiste ed è ricca.
La
vera salvezza di una democrazia altrimenti ridotta a povera cosa:
comitati di base che si occupano di ambiente, migranti, scuola,
solidarietà, lavoro, guerre. Questo è stato soprattutto l’assemblea di
domenica, e di questo non una parola è comparsa sui quotidiani. Chi ha
accennato all’evento è stato solo per misurare la distanza fra il teatro
Brancaccio e Pisapia, che – diciamo la verità – non è “odiato” perché
vuole unire, ma perché nessuno sa ancora chi rappres+enta e cosa vuole.
(Non basta aver fatto bene il sindaco di Milano per proporsi come leader
di una nuova sinistra).
NON È UNA LAMENTELA, è l’ennesima
drammatica prova che in Italia chi gestisce il potere, istituzionale e
mediatico, non ha capito che qualcosa di grave è accaduto in questi
ultimi decenni: la perdita di credibilità dei partiti e dei tradizionali
corpi intermedi, ormai largamente incapaci di rappresentanza sociale e
privi del loro tradizionale ruolo di organizzatori della partecipazione,
ha prodotto una disaffezione per la democrazia gravida di possibili
nefaste conseguenze.
La prima delle quali è il deliberato
tentativo di sostituirla con l’accentramento del potere decisionale
nelle mani di una governance che si vorrebbe neutrale (questa era la
sostanza della posta in gioco del referendum costituzionale, e questa la
principale ragione dell’opposizione al Pd di Renzi). Ebbene
l’iniziativa di Falcone e Montanari prende le mosse da questa realtà per
cercare di rigenerare la politica, e dunque la democrazia, ripartendo
da quanto c’è di vivo: quelle forme di “cittadinanza attiva” che hanno
dato vita ai tanti comitati di lotta sul territorio e, ultimamente, a
coalizioni che le hanno raccolte a livello cittadino per tentare un
nuovo tipo di presenza nelle istituzioni.
RAPPRESENTANO di per sé
una compiuta alternativa di governo? Certo che no, ma indicano che ci
sono forze che stanno costruendo le condizioni per ricostruire una
rappresentanza democratica e così ridare legittimità alle istituzioni.
Il dialogo con le aggregazioni che sono nate dallo sfaldamento del Pd si
fa su questo, evitando le scorciatoie del leaderismo (un “grimaldello”
cui abbocca anche qualche pezzo della sinistra); così come la
sacralizzazione di una società civile buona e innocente e la
demonizzazione dei partiti.
Su questi punti Montanari è stato
chiarissimo: senza i partiti non c’è democrazia, la nostra Costituzione
resterebbe monca. E chiarissima è stata Marta Nalin, la rappresentante
della coalizione civica di Padova (23 % alle ultime comunali):
«Reinventare i corpi intermedi, senza demonizzare i partiti e senza
santificare la società civile».
FALCONE E MONTANARI HANNO indicato
un percorso, non ancora la fondazione di un nuovo partito: questa è
stata la loro sfida coraggiosa e intelligente. Fra i partiti esistenti
ha raccolto l’adesione impegnata di Sinistra Italiana, ma, nonostante le
sue consuete recriminazioni e diffidenze, anche di Rifondazione. E ha
ricevuto attenzione anche da Articolo 1, sia pure, come è ovvio, ancora
titubante. Perché, sia pure in modi diversi, tutti si rendono conto che
siamo in una fase di trasformazione epocale e lontani ancora dall’aver
raggiunto la maturità politica e culturale per indicare una compiuta
strategia all’altezza dei problemi posti dal nuovo mondo.
Il
Brancaccio registra la consapevolezza di questa insufficienza, salva i
partiti esistenti come essenziali laboratori politici per forze che
hanno già riscontrato una propria omogeneità di ispirazione e che però,
per ora, si propongono di lanciare la sola sfida possibile in questa
fase di transizione: quella di una risposta unitaria nelle prossime
scadenze di lotta e istituzionali, una «Alleanza – come è stato detto –
per l’uguaglianza e la democrazia».
Grazie dunque alla buona
volontà di Anna e Tomaso, come sono stati ormai amichevolmente chiamati
da tutti. Hanno avuto il merito di non farsi risucchiare, come purtroppo
ancora tanti, dal «non c’è niente da fare», come se stando a casa,
ognuno per conto proprio, se ne potesse poi uscire con una soluzione.
Già declinare il “noi” e riprendere a riflettere assieme è una
conquista.
NON POCHI DEGLI ABITUALI pessimisti (gli anziani, i
giovani per fortuna non sono reduci di tante sconfitte) hanno osservato
che di belle assemblee unitarie come questa del Brancaccio ce ne sono
state tante negli ultimi 20 anni. E’ vero. Ma c’è un dato fondamentale
che i promotori dell’iniziativa hanno capito: che il tempo attuale è
molto diverso. Più pericoloso ma anche più consapevole dell’urgenza di
una svolta rispetto a quanto è stato fatto in questi anni da chi ha
governato e da chi è stato all’opposizione. Questa è la ragione per cui
oggi si può ricominciare a proporsi un’alternativa.
I FISCHI (NON
POI TANTISSIMI, anche se deprecabili) a Gotor sono un segno delle
diffidenze che questi difficili decenni che ci stanno alle spalle hanno
creato. Non ci si può illudere che settarismi e estremismi, di cui anche
il Brancaccio ha dato prova, potranno esser superati facilmente. Tocca a
tutti ripensare se stessi e la propria parabola di questi anni: l’unità
non si fa a partire da quel che siamo, ma da quello che ci si propone
di diventare, ed è su questo che ci si confronta, se necessario anche
duramente.
Mai col Pd, come ha detto Montanari? Ecco, su questo,
solo su questo, un dubbio, ma forse siamo in realtà d’accordo: per
quanto esangue, io credo ci sia ancora un corpo storico che viene
dall’ormai dimenticato Pci, non solo vecchi ma anche una memoria, certo
un po’ sbiadita, che coinvolge anche più giovani. Io credo che non
dobbiamo ignorarli.
ULTIMO PROBLEMA: COME SI prosegue ora? Spero
che nessuno si immagini che ci sarà un fantastico centro promotore di
organizzazione dalle Alpi alla Sicilia. Bisognerà cercare di crearlo, ma
questa nostra nuova sinistra deve soprattutto imparare a “fare da se”:
ad ogni singolo militante in ogni singolo territorio l’onere e l’onore
di promuovere l'”Alleanza”, e ogni altra forma di partecipazione che
consenta a chi se la sente di costruirla. Reimparando a confrontarci,
passo per passo, con gli altri compagni dell’avventura collettiva che
abbiamo deciso di correre. Ripartire dai territori non vuol dire tornare
all’Italia dei Comuni, ma all’Europa.