Il Fatto 21.6.17
Sinistra al Brancaccio, dieci considerazioni sulla ‘Leopolda dei gufi’
Andrea Scanzi
Domenica
c’è stata l’adunanza della sinistra “vera” al Brancaccio di Roma, che
qui chiamerò la “Leopolda dei gufi”. Ero stato invitato dagli
organizzatori e avrei partecipato volentieri, se non fossi stato la sera
prima al Premio Cimitile e la sera stessa al Trentino Book Festival.
Avrei partecipato per curiosità e perché ho profonda stima di Tomaso
Montanari, una delle persone più argute e garbate che conosca. Non
conosco invece personalmente Anna Falcone, ma quello che propone è
sempre lucido e apprezzabile. Avendo comunque seguito la giornata al
Brancaccio, provo a buttare giù qualche riflessione.
1. Condivido
l’intervento di Tomaso, compresa la parte in cui ha demolito il
comportamento pavido e spesso colpevole del centrosinistra italiano con
Berlusconi. Tenendo conto che D’Alema era in prima fila, per dire queste
cose servono le palle. E lui le ha. Altri, no.
2. D’Alema non ha
parlato e per qualcuno non doveva neanche esserci. Ci sta. Ma in quel
teatro c’erano figuri “de sinistra” non meno discutibili, anche se cari a
certi ambienti antagonisti. Per dirne due: Vendola e Casarini. Non li
trovo meno colpevoli di D’Alema. Ah: vale anche per Bertinotti e il
bertinottismo, che ha fatto più danni della grandine. Nasci gramsciano e
finisci ciellino: una prece.
3. Falcone e Montanari hanno detto
che non vogliono rifare un Ulivo 2 (e ci credo), ma una sinistra nuova.
Intento nobile: auguri. E’ stata proprio la “sinistra” a deludere di più
negli ultimi anni, comprese (salvo rari casi) le esperienze tipo Lista
Ingroia o Tsipras. Chi ci riproverà dovrà sconfiggere la naturale
diffidenza che, a prescindere dalla bontà dei promotori, suscitano ormai
tali iniziative.
4. Lo spirito (?) di Pisapia aleggiava sul
Brancaccio. Giustamente Montanari ha detto che, il prossimo Primo
Luglio, Pisapia dovrà dire una volta per tutte quello che desidera fare
da grande (ovviamente non lo dirà). Su Pisapia ci sono due cose da dire.
La prima è che il suo peso elettorale è oltremodo amplificato, per
esempio da Repubblica: voi conoscete qualcuno su scala nazionale che
voterebbe Pisapia, a parte Lerner o Vecchioni? Io no. La seconda è che
Pisapia piace a Repubblica – e quindi al Pd renziano – in funzione di
“accalappiatore”. Va cioè usato per abbindolare gli elettori di sinistra
che non amano Renzi, ma che tramite Pisapia verrebbero portati a Renzi.
In questo senso, Pisapia può essere un’immane iattura politica. Spetta
solo a lui non esserlo. Nel frattempo, può smettere di porre veti su chi
può stare e chi no nel progetto. Pisapia che fa veti è come Sturaro che
va da Ventura e gli dice “Se convochi Bernardeschi io sto a casa”.
Ecco, appunto: stai a casa.