il manifesto 21.6.17
La tentazione che frena la sinistra
Norma Rangeri
Non
è che l’inizio, l’inizio di una perigliosa navigazione, però
l’affollata assemblea di domenica al teatro Brancaccio ha riunito le
isole dell’arcipelago della sinistra, quelle che nel referendum del 4
dicembre hanno vissuto e condiviso la felice battaglia per la
Costituzione.
Accanto a una straripante partecipazione, molto
importante per l’avvio dell’impegnativo cammino, sono emersi tuttavia
forti accenti identitari, una scarsa propensione all’unità.
Anzi,
di più: l’impressione netta è che per il momento i carri della carovana
della sinistra in costruzione siano due. Orientati verso direzioni
diverse e distinte.
Forse potrebbero incontrarsi per strada, ogni tanto, per convergere su alcune battaglie politiche e sociali comuni.
Ma
se si votasse domani la spinta prevalente sarebbe a favore di due liste
separate, il contrario di quel che i due promotori, Anna Falcone e
Tomaso Montanari, intendono perseguire con la loro coraggiosa
iniziativa.
Sarebbe un esito molto negativo.
Naturalmente
non per chi pensa che venti deputati e un bottino elettorale del 3%
siano l’obiettivo da raggiungere, ma sicuramente per chi ancora spera in
un’aggregazione larga, con l’ambizione di oltrepassare i confini fin
qui tracciati dagli attori rimasti in campo negli ultimi, drammatici
anni della crisi.
L’elenco dei presenti all’incontro fa capire che le «isole» sono tantissime.
I
promotori Montanari e Falcone di Alleanza popolare per la democrazia e
l’uguaglianza, Sinistra Italiana, i Rifondaroli, i fuorusciti dal Pd e
ora Art.1- Mdp (pochissimi), e D’Alema, Castellina, Civati, Ingroia, de
Magistris (Claudio). Storie e vite politiche molto diverse tra di loro,
ma non per questo meno animate da una viva e giusta convinzione: che c’è
un mondo – piccolo, medio o grande che sia – oltre il Partito
democratico.
Però quello che si notava di più era proprio
l’assenza dei tanti che in questa lunga traversata nel deserto della
crisi, hanno voltato le spalle alla sinistra decidendo di non votare.
Anche se c’erano esempi, esperienze portate al microfono da nuove
generazioni, ragazze e ragazzi dei movimenti sociali.
E però nel rosso teatro viveva un terzo elemento, che si è mostrato ai presenti platealmente. La contestazione. Il rifiuto.
Tangibile
quando ha parlato il senatore Miguel Gotor, uscito dal Pd con Bersani:
le sue parole sono state coperte dalla sala rumoreggiante, contenuta a
fatica dagli organizzatori. L’episodio ha messo in rilievo il sentimento
prevalente della riunione: mai un centrosinistra con Renzi, tenere alla
larga quelli del Pd perché hanno contratto un «virus».
Ma se un
ex, un fuoriuscito dal Pd viene a dire che si riconosce nei valori e nei
contenuti dell’assemblea, non dovrebbe essere considerato come un
nemico del popolo. Quindi un ostacolo in più. Bensì il segno tangibile
di un meritato consenso.
L’immagine offerta al Brancaccio dalla
platea e dagli intervenuti al dibattito, fa dunque risaltare, insieme
alla vivacità e ai colori di una radicata presenza nella società,
insieme all’orgoglio di una militanza tanto preziosa, i punti più deboli
di una «alternativa» (non di governo) di sinistra: la mancanza di una
reale unità; lo scarso interesse verso chi negli ultimi anni ha deciso
di non impegnarsi, perché disilluso e poco attratto dalle «minestre
riscaldate»; la prevalenza di quelli convinti di avere la «giusta»
linea.
E quindi come uscirne? Non avendo la bacchetta magica
possiamo solo avanzare qualche suggerimento, sul filo dei discorsi fatti
in passato sostenendo che «c’è vita a sinistra».
Innanzitutto non
dovrebbero prevalere atteggiamenti divisori, perché se è corretto
sostenere che con Renzi non c’è futuro a sinistra, è sbagliato invece
porre paletti o veti nei confronti di chi ha rotto, con dolore e con
fatica, con il proprio passato (penso a Bersani e ai bersaniani).
Poi
ognuno dei «costruttori per l’alternativa», dovrebbe essere in grado di
dire, innanzitutto a se stesso, che non esistono questioni politiche
irrinunciabili (tranne quelle legate ai valori e ai principi) e anche a
questo serve una piattaforma programmatica.
Terzo punto, di
conseguenza, bisognerebbe elaborare un programma politico economico e
sociale per il Paese, sia sul breve che sul lungo periodo.
E,
infine, last but not least, identificare una leadership, un punto di
riferimento, preferibilmente femminile, capace di unire, mettere
insieme, essere protagonista. La presenza dei leader è servita alla
sinistra inglese e americana per riunire le forze sparse alternative, di
sinistra, democratiche, riformiste. Va preso atto che oggi la politica,
in Italia e nel mondo, si fonda anche sul leaderismo. Che non significa
avere una persona sola al comando, come Renzi, Grillo, Berlusconi,
Salvini.
La fantasia al potere è uno slogan che l’anno prossimo
compie cinquant’anni, quanti ne sono passati dal 1968. Di quella
fantasia ne abbiamo ancora un discreto bisogno, anche sul terreno della
leadership che deve rappresentare un contenuto altrettanto forte e
radicale.
Alla fine dell’estate questa perigliosa navigazione
dovrebbe trovare l’approdo in una Costituente, come suggeriva su queste
pagine Alberto Asor Rosa.
Ovvero il risultato, l’approdo di un
processo largo e democratico che discute le forme, il nome, il simbolo
di una forza, di una Nuova Sinistra. Una prospettiva per la quale
lavoreremo per aiutare un esito felice di questo processo.