il manifesto 21.6.17
Note alla fine del secolo
Saggi. Tra pubblico e privato. «Diari 1988-1994» di Bruno Trentin per le Edizioni Ediesse
Aldo Garzia
Non
dev’essere stato facile per Marcelle Marie Padovani, storica
corrispondente del Nouvel Observateur, decidere di dare via libera alla
pubblicazione dei diari di suo marito Bruno Trentin (Pavie 1926-Roma
2007). La scrittura diaristica è infatti per definizione intimista, una
sorta di dialogo solitario con se stessi quasi psicanalitico. In più,
può svelare tratti dell’autore che stridono con il suo personaggio
pubblico, nel caso di Trentin una figura di assoluto prestigio del
sindacalismo e della politica europei: giovanissimo partigiano, deputato
comunista già nel 1963, poi segretario della Fiom, poi ancora
segretario negli anni cruciali 1988-1994 della Cgil e infine per una
legislatura parlamentare europeo. Il nome di Trentin è dunque stato
legato per decenni alle vicende della Cgil, dove lo aveva chiamato
Vittorio Foa all’Ufficio studi nel 1950, animandone l’azione e
l’elaborazione.
Proprio la forma diaristica dei testi contenuti in
Diari 1988-1994 (a cura di Iginio Ariemma, pp. 510, euro 22, edizioni
Ediesse) può farli apparire crudi nella forma e nei giudizi che
contengono su protagonisti e passaggi della storia della sinistra.
Valutazioni lapidarie e più o meno critiche sono riservate a tanti
protagonisti di quegli anni, tra cui Pierre Carniti, Luciano Lama,
Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Achille Occhetto, Massimo D’Alema,
Fausto Bertinotti (a dividerlo verso quest’ultimo ci sono oltre ai
rilevanti dissensi politici e di pratica sindacale le diversità di
temperamento e di comportamento che lo irritano particolarmente).
ANCHE
CON IL MANIFESTO Trentin non è tenero. Scrive per esempio il 24
dicembre 1990: «Mi sono indignato per i commenti (fra il delirio
estremista, il gioco mondano e la lirica dannunziana) di quasi tutti i
redattori del Manifesto. Non capisco neanch’io il perché. Dovrei averci
fatto il callo». Qualcuno dei destinatari delle frecciate corrosive se
ne rammaricherà, ai lettori viene data però l’opportunità di conoscere
con questi diari anche «l’altro» Trentin: l’uomo con i suoi umori più
privati, gli assilli esistenziali, le depressioni, le letture a tutto
campo, le linee di ricerca più recondite, l’instancabile impegno
politico e culturale condito anche da solitudine. Il che rende il
ritratto di Trentin, a dieci anni dalla morte, grazie proprio alla
pubblicazione di questi diari, più completo e meno scontato.
A
colpire fin dalle prime pagine è il cruccio principale di Trentin. Lui è
consapevole della crisi che vive alla fine degli anni ottanta la
modalità di azione e organizzazione del sindacato in quanto tale, non
solo della Cgil. Superamento del taylorismo e avvio dei processi di
globalizzazione mettono infatti a dura prova il sindacato. A fine agosto
1988, mentre si stanno concludendo le vacanze tra le amate montagne di
San Candido, scrive: «Volontà di interrompere una parentesi, di
riaffrontare il toro per le corna (la crisi della Cgil)… Sono assillato
dall’idea di formulare correttamente i fini storici di un sindacato di
classe (solidaristico)». Subito dopo annota con amarezza i pericoli di
burocratizzazione del sindacato e di perdita di senso della sua
rappresentanza.
La responsabilità che gli è capitata addosso, dopo
la rapida fine della segreteria di Antonio Pizzinato, è particolarmente
gravosa. Lui prova a rispondere in modo non burocratico al dilemma sul
destino del sindacato, parlando di programmi, dimensione europea
dell’azione interrogando l’organizzazione sulle sue funzioni,
accentuando la lotta politica contro la corrente di «Essere sindacato»
capeggiata da Fausto Bertinotti verso cui non sarà mai indulgente ma
pure nei confronti di quella socialista di Ottaviano Del Turco.
NEGLI
ANNI DELLA SUA SEGRETERIA IN CGIL, Trentin cercherà in tutti i modi di
avviare l’autoriforma del sindacato ridisegnandone la natura come
«sindacato dei diritti» e non solo del lavoro, proponendo conferenze
programmatiche (se ne farà una a Chianciano che però lo deluderà per gli
esiti molto modesti) che servissero a fare i conti con le nuove
problematiche dell’iniziativa sindacale su scala europea.
L’anno
più terribile per Trentin è quello che va dal luglio 1992 al luglio
1993, quando deve fare i conti con il governo Amato e le emergenze della
situazione economica. Si piega con molta inquietudine a firmare
l’accordo tra sindacati e governo del 31 luglio 1992 che abolisce la
scala mobile e sterilizza la contrattazione a favore di una impopolare
politica dei redditi di cui non è per niente convinto. Perché lo fa?
Scrive Trentin: «Mi sono trovato assediato… La divisione dei sindacati e
nella Cgil avrebbe dato un colpo finale al potere contrattuale del
sindacato come soggetto politico». Il senso di responsabilità e il
timore della fine di ogni unità sindacale lo spinge a siglare l’accordo
lasciando però liberi gli organismi direttivi della Cgil di convalidare o
meno l’intesa. Trentin si dimetterà da segretario lo stesso 31 luglio,
poi a settembre le sue dimissioni verranno respinte dal Direttivo Cgil,
provocando – scrive lui stesso – «un inferno dentro di me».
LA
PERIODIZZAZIONE 1988-1994 di questi diari fa rivivere la drammaticità
dei fatti epocali che si susseguono in quella fase: sconfitta del
tentativo riformista di Mikhail Gorbaciov a Mosca, crollo del Muro di
Berlino, crisi irreversibile del «socialismo reale», avvio della
trasformazione del Pci fino all’attuale Pd, guerra del Golfo,
rivoluzione tecnologica, ulteriore perdita di ruolo e rappresentanza del
sindacato, vittoria elettorale della destra berlusconiana. Quelle di
Trentin sono di conseguenza pagine dense, piene di spunti e amare
riflessioni. Aiuta nella lettura la suddivisione in capitoli insieme
alla guida che ci propone il curatore Ariemma con le sue introduzioni
ragionate.
Com’era sua abitudine, le note di Trentin uniscono
giudizi sui fatti che scorrono a pensieri più lunghi e profondi. Sul
destino del «socialismo reale» non ha dubbi fin dai fatti di piazza
Tienanmen a Pechino del 1989: «Si è privilegiata, in modo astratto e
senza considerarne i limiti, le lotta per l’equità non quella per la
libertà e contro l’oppressione… il comunismo da movimento reale di
trasformazione della società è diventato orizzonte ultimo e fine della
storia». Sulla vittoria di Silvio Berlusconi scrive: «Il berlusconismo
mette in luce la drammatica scissione tra l’autonomia del politico
praticata da una sinistra balbettante e il contenuto concreto e le forme
specifiche che assumono i conflitti di interesse e di potere nella
società civile».
Quando le vicende internazionali si riflettono in
Italia con la «svolta» proposta da Occhetto, non ha alcuna tentazione a
far parte del fronte del no che ha i propri battistrada in Pietro
Ingrao, Lucio Magri, Sergio Garavini, Aldo Tortorella e Armando
Cossutta. Pur segnalando la povertà politico/culturale che accompagna la
proposta di Occhetto e non diventandone un protagonista per la sua
collocazione in Cgil, la battaglia contro il cambiamento di nome e
simbolo gli appare anch’essa non dimensionata alla portata degli eventi.
In alcune riunioni proporrà – inascoltato, come gli capiterà spesso –
di chiamare ciò che nascerà dalle ceneri del Pci «partito del lavoro» o
«partito dei lavoratori». Quando si libererà dagli impegni in Cgil e
lascerà la segreteria a Sergio Cofferati, farà parte – insieme a Giorgio
Ruffolo, Alfredo Reichlin e altri – del gruppo che deve stendere la
carta di intenti, il «programma fondamentale» del nuovo partito. Per
Trentin, sarà l’ennesima delusione.
IL CABOTAGGIO DELLA POLITICA
QUOTIDIANA appare ai nuovi gruppi dirigenti più rilevante rispetto alla
necessità di occuparsi dei «fondamentali». Trentin, lo si apprende dagli
appunti sulle sue molteplici letture filosofiche e letterarie di quel
periodo, va in direzione opposta. La sua elezione al Parlamento europeo
dal 1999 al 2004, dove tornerà a occuparsi di lavoro e di
contrattazione, equivale infine a un esilio che forse stempera le
delusioni dell’uomo e del politico Trentin che torneranno a dominarlo
negli ultimi anni di vita fino all’incidente a San Candido nel 2006, che
ne causò la morte l’anno dopo.
Dalla lettura dei diari emerge la
traiettoria originale di Trentin che negli ultimi anni sembra tornare
alle origini della sua cultura azionista come riposta alla crisi del
comunismo (il padre Silvio Trentin era stato tra i fondatori del Partito
d’azione e lui stesso ne aveva fatto parte). Le sue teorizzazioni
dell’ultimo periodo sul «sindacato dei diritti» e sul socialismo moderno
mettono in primo piano libertà ed eguaglianza delle opportunità in una
concezione libertaria della politica e della società. Il pensiero e
l’azione di Trentin diventano così la felice sintesi dell’incontro tra
il meglio della cultura marxista italiana e del liberalismo atipico con
Antonio Gramsci e Piero Gobetti punti di riferimento. Bisogna ripartire
da lì, sembra dirci Trentin con i suoi diari.