Il Fatto 21.6.17
Ho seguito la convention al teatro Brancaccio,
io che di convention della sinistra ne ho viste tante, a partire dalla
fondazione del Movimento per la Rifondazione comunista e ne ho ricavato
la convinzione che i giudizi possono essere espressi da due punti di
vista.
Da quello degli organizzatori della convention, il bilancio
è senz’altro positivo. Le varie anime della sinistra si sono presentate
all’appuntamento, compreso Massimo D’Alema. Certo, sul piano meramente
organizzativo, quando si smetterà di pensare solo alla sequenza
orizzontale di interventi per lo più identici e si cercherà di costruire
appuntamenti tematici e/o di svisceramento di alcuni temi cruciali – al
tempo dei Social forum si discuteva ore prima di definire le modalità
di un meeting pubblico – sarà sempre troppo tardi. Così come quando si
recupererà un di più di trasparenza, magari illustrando a inizio
riunione l’elenco di chi dovrà intervenire spiegandone chiaramente i
criteri di selezione.
La riunione è riuscita soprattutto per un
motivo tutto politico: ha collocato l’iniziativa di una sinistra
alternativa al Pd al centro dello schiacchiere, ha costretto le altre
propensioni a uscire maggiormente allo scoperto e ha dinamizzato la
discussione. Tanto che osservatori speciali, come Paolo Mieli sul
Corriere della Sera, hanno subito avvertito dei rischi di una sinistra
troppo “estremista” e incapace di pensare alle dovute alleanze. Critiche
che il Corsera muove a qualunque cosa si muova a sinistra dall’inizio
degli anni 90.
E’ stato un successo, invece, rimettere intorno al
tavolo tutti, da Sinistra italiana a Rifondazione comunista, dal Mdp di
Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema a Possibile di Pippo Civati
passando per la sempre esaltata “sinistra sociale”, Fiom in testa.
L’operazione, allo stesso tempo, ma sempre restando all’interno delle
motivazioni e delle attese di chi l’ha promossa, sconta un limite
evidente: l’elettoralismo. Tutta l’assemblea è stata pervasa da questo
unico aspetto: mettersi insieme in vista delle elezioni, costruire una
lista competitiva, “a due cifre se no non serve”, come improvvidamente
annunciato da Tomaso Montanari, promotore, insieme ad Anna Falcone,
dell’incontro. Visti i tempi, si può legittimamente sperare in una
chance elettorale alternativa al Pd e non lasciare una parte del campo
politico scoperta. E da questo punto di vista, non fa nessuno scandalo
che si mettano insieme tutti quelli che ci stanno e che condividono un
programma comune, anche se si chiamano Massimo D’Alema. Vedano loro se
riusciranno a costruire un programma coerente e convincente, se il
progetto sarà davvero alternativo al Pd, e se sarà dotato di appeal
elettorale. In fondo, è legittimo tentare, come ha tentato, con qualche
successo e qualche ammacco, Jean Luc Melenchon in Francia.
Il
problema, ecco l’altro punto di vista, è se davvero ci salveranno le
scommesse elettorali. Sul piano della stretta emergenza sembra di sì: il
razzismo di Salvini, la demagogia di Renzi e anche l’involuzione del
M5S chiedono questa risposta. Ma servirà? Anche se si dovesse affermare
una forza a due cifre, il 10%, a sinistra del Pd, al di là della
naturale soddisfazione per una sinistra che riequilibra i rapporti di
forza parlamentari, che impatto strutturale potrebbe avere questo dal
punto di vista sociale? In oltre venti anni di fortune alterne sul piano
elettorale – chi scrive ha vissuto anche la fase del Prc all’8% quando
alla sua destra c’erano i Ds e non il Pd di Renzi – la società italiana
si è sgretolata sul piano dei vincoli di solidarietà e sul piano della
coscienza civile. Pensare che il voto del 4 dicembre sul referendum
costituzionale abbia invertito questa tendenza è una illusione
pericolosa che contribuirà a commettere nuovi e più gravi errori.
Più
legittimo ipotizzare che un buon risultato, a cui per forza di cose
fare da contraltare un cattivo risultato del Pd, servirebbe a mettere
definitivamente in crisi Matteo Renzi, scalzandolo dalla segreteria Pd,
per riaprire, così, i confini delle alleanze politiche. Del resto, non
governano insieme al Pd in molte città anche quelle forze di
sinistra-sinistra che sul piano nazionale dicono “mai con il Pd”? Lo
scopo di fondo sembra oggi essere questo e la vicenda di Giuliano
Pisapia lo dimostra. Anche per questo, al momento, sembra più probabile
che si allestiscano due liste di sinistra, una alleata al Pd e l’altra
no, a meno che non sia Renzi a risolvere il problema chiudendo le porte a
ogni dialogo con Pisapia e compagni.
Anche per questo la sfida
per qualsiasi sinistra si pone direttamente sul terreno della
ricostruzione sociale del proprio agire e della riedificazione culturale
della prospettiva – si veda il lamento di Bruno Trentin raccolto nei
suoi diari per capire quanto tempo è stato perduto. Sociale, per
capirci, significa quanta società si struttura attorno a valori di
solidarietà e mutualismo, quanti legami si tengono vivi, nelle lotte,
nelle vertenze, ma anche nella vita quotidiana, quanto riparo riesce a
essere edificato contro l’austerità e la crisi incessante dell’economia
globale. “Se otteniamo un buon risultato elettorale, poi ci occuperemo
meglio anche di questo” propongono in tanti. La storia passata non
conferma questa ambizione.
Sul terreno sociale, infatti, a parte
esperienze generose di sindacalismo conflittuale e ampie aree di
solidarismo cattolico o comitati locali ed esperienze, ancora solo
esemplari, di mutualismo economico e civile, non lavora e non si
interroga nessun frammento della sinistra frammentata. Recentemente
Sinistra Italiana è parsa scoprire il problema ma solo istituendo un
fondo di sostegno (peraltro finanziato con soli 100.000 euro) senza
andare oltre. Se n’era parlato all’interno della Coalizione sociale
promossa dalla Fiom di Landini, ma è stato solo un dibattito finito
troppo presto.
Se davvero si vuole risalire la china, dal punto di
vista storico, sociale e culturale, la questione è posta da tempo e i
protagonisti principali del dibattito di quel che resta a sinistra ne
sono anche consapevoli. Salvo, però, dedicare tutte le proprie energie
alla scommessa elettorale, magari fine a sé stessa e senza prospettive.
Qui sta il limite del Brancaccio e delle iniziative analoghe. Qui, il
nodo dei compagni di strada che si scelgono, funzionali alle strade che
si vogliono intraprendere. Se l’orizzonte è tutto elettorale, allora è
chiaro che la sinistra può riunirsi anche con D’Alema e compagni; se la
prospettiva fosse quella della ricostruzione del tessuto sociale e delle
idee necessarie a consolidarlo, la compagnia sarebbe tutt’altra. E
forse non si porrebbe nemmeno il problema delle elezioni.