il manifesto 16.6.17
Landini: «Nuovi voucher peggio dei vecchi, con la Cgil chi dice No»
Intervista. Il segretario Fiom: in piazza sabato per la Carta universale dei diritti dei lavoratori
intervista di Nina Valoti
Maurizio
Landini, a meno di 48 ore dalla manifestazione della Cgil a piazza San
Giovanni di sabato mattina contro «lo schiaffo alla democrazia» sui
referendum, il Senato ha approvato in via definitiva la manovrina e con
essa i nuovi voucher.
È una ragione in più per essere in piazza. E
per confermare che il governo non ha l’appoggio dei cittadini. È una
nuova pagina di un comportamento arrogante, lo stesso tenuto ai tempi
del Jobs act: in entrambi i casi il governo ha fatto approvare leggi sul
lavoro senza averle nemmeno discusse con i sindacati, riducendo ancora
una volta i diritti delle persone che per vivere hanno bisogno di
lavorare. I nuovi voucher paradossalmente sono anche peggio di quelli di
prima: li estendono alle imprese fino a 5 dipendenti e danno la
possibilità di cancellarli entro tre giorni se non ci sono controlli.
Il
governo sostiene di aver creato un nuovo strumento, diverso dai voucher
e dunque di aver rispettato il referendum promosso dalla Cgil e
cancellato dal decreto di aprile. Il ministro Finocchiaro e il Pd, che
presentò a sorpresa l’emendamento il 27 maggio, hanno dichiarato che la
nuova normativa instaura un vero e proprio contratto.
È una
sciocchezza, se uno lo dice perché non conosce cos’è un contratto di
lavoro. È una nuova presa in giro se la dichiarazione viene da chi nel
Jobs act ha chiamato «contratto a tutele crescenti» una cosa che ha
tolto l’articolo 18 precarizzando semplicemente il contratto a tempo
indeterminato per i nuovi assunti. I nuovi voucher sono l’ennesima forma
di precarizzazione che non regola assolutamente il lavoro accessorio ma
torna a dare alle imprese la possibilità di sfruttare i lavoratori
senza diritti e tutele. Insomma, è l’impresa che diventa occasionale: ha
di nuovo l’occasione di non pagare ferie, malattia, maternità e
quant’altro. In più continua a non tutelare questi lavoratori, molto
spesso giovani, ai fini pensionistici, producendo un’altra ferita alla
previdenza pubblica, già malandata.
Come Cgil avete già annunciato
il ricorso alla Corte costituzionale per il mancato rispetto dei
referendum. I tempi saranno lunghi: non rischiate di perdere
quell’attenzione che avevate riconquistato con la mobilitazione nei
luoghi di lavoro e i milioni di firme raccolte?
La nostra
manifestazione non vuole solo denunciare quello che è successo sui
voucher. Oltre alla protesta al centro vogliamo mettere le nostre
proposte e quindi la Carta universale dei diritti dei lavoratori per
riscrivere le leggi cancellate dai governi di centrosinistra, per
chiedere nuove tutele e diritti per i lavoratori, in special modo
giovani, per proporre una legge sulla rappresentanza e in ultimo per
cambiare la riforma Monti-Fornero sulle pensioni considerando una follia
essere diventati il Paese con l’età di pensionamento più avanzata e
l’occupazione e i salari più bassi. Come Cgil chiediamo un cambio
radicale delle politiche sul lavoro.
Il quadro politico è in
grande mutamento ma a sinistra il discrimine è sempre quello: il
giudizio sul Jobs act. Chi lo difende – Renzi e quasi tutto il Pd – dice
di non potersi alleare con chi lo critica.
Gli sforzi
propagandistici per difendere il Jobs act sono inutili. I dati sono
sotto gli occhi di tutti: l’occupazione aumenta solo fra gli over 55 e
lo fa grazie alla riforma delle pensioni Fornero che fa rimanere al
lavoro fino a 67 anni e più. Per il resto i posti creati – specie per i
giovani – sono precari e a part time involontario. Sarebbe utile
riflettere su che cosa sia stato realmente il Jobs act per cambiarlo
totalmente: incentivi a pioggia alle imprese, circa 20 miliardi di
finanziamenti pubblici provenienti dalla fiscalità generale. Ciò
significa che un trasferimento di ricchezza alle imprese ha prodotto
solo ulteriore precarizzazione. Lo dicono anche le ultime statistiche:
solo il 10-15 per cento di questi soldi sono stati spesi dalle imprese
per innovazione di prodotti e processi. Nel frattempo gli investimenti
pubblici sono crollati.
Alla vostra manifestazione hanno già
annunciato la loro presenza parlamentari della minoranza Pd e altri che
si richiamano a Campo progressista di Pisapia che hanno votato a favore
della manovra e dei voucher e quelli di Mdp che sono usciti dall’aula.
Come li accoglierete a piazza San Giovanni?
Tutti coloro, persone
comuni o politici, che vengono a sostenere le nostre posizioni in
piazza, sono i benvenuti. Allo stesso tempo penso che sia utile che ci
sia maggior coerenza: quando si dice di No bisogna votare No. Lo dico
perché c’è la necessità di far recuperare credibilità alla politica: in
Italia come in Francia alle ultime elezioni è ancora calata l’affluenza.
E io ci vedo dietro proprio la poca credibilità della politica. Quelli
che per vivere devono lavorare sono ancora la maggioranza degli elettori
ma non votano perché non si sentono rappresentati.
Appena un
giorno dopo la vostra manifestazione a Roma Tomaso Montanari e Anna
Falcone hanno lanciato un incontro al teatro Brancaccio per creare una
«Sinistra Unita». Il primo luglio Giuliano Pisapia con Campo
Progressista e Mpd si troveranno a piazza Santi Apostoli sotto slogan
«Insieme» per far rivivere il centrosinistra stile Ulivo di Prodi. Lei
parteciperà? Come li giudica?
A parte sabato mattina, da oggi a
domenica sarò alla festa nazionale della Fiom a Firenze dove parleremo
di lavoro e diritti. Credo che a livello politico il problema non siano
le formule o gli assembramenti o i nomi dei possibili leader, ma i
contenuti. Il tema che vedo è quello di rilanciare la partecipazione e
per farlo servono contenuti concreti che indichino un significato
preciso. Il punto non è come unire la sinistra, c’è un’urgenza più
ampia: riunire il mondo del lavoro per cambiare le politiche andando al
governo.
Per lei dunque mi pare di capire che l’urgenza è quella
di recuperare chi non vota più. Ma come tenere assieme questo obiettivo
con quello di andare al governo?
Per vincere le elezioni bisogna
prendere più voti degli altri. Ma l’unico modo per farlo è dare
rappresentanza a chi non ce l’ha o non ce l’ha più. E si tratta delle
persone più deboli. Per farlo serve proporre politiche di cambiamento
radicale a partire dal mondo del lavoro fino all’Europa, ad esempio
cancellando pareggio di bilancio, Fiscal compact e austerità. Solo dando
un nuovo senso alla politica si possono restituire le persone alla
democrazia e a una rappresentanza diretta e non delegata a nessuno.