il manifesto 15.6.17
Riforma penale con la fiducia senza i voti di alfaniani e bersaniani
Ap
giura di votare a favore ma sparisce al momento decisivo (e un ministro
vota anche contro). Mdp denuncia il tentativo di fare scherzi al
governo, ma nel passaggio decisivo lo sostiene con solo la metà del
gruppo
di Andrea Fabozzi
Una maggioranza scarsa e
una fiducia piccola piccola, la più stretta per il governo Gentiloni
alla camera (escludendo quella sulla manovrina, alla quale erano
dichiaratamente mancati tutti i voti di Mdp). È passata così, e sarà
legge dello stato dopo la firma di Mattarella, la riforma del processo
penale. Contiene anche le deleghe al governo per intervenire sulle
intercettazioni (entro tre mesi, e il ministro Orlando intende farlo
anche prima) e sull’ordinamento penitenziario (entro un anno, le
intenzioni del ministro sono le stesse ma non potrà essere altrettanto
rapido).
La legge è un contenitore (un solo articolo con 95 commi)
che mette assieme diverse proposte dall’iter tormentato nella
legislatura. Si va da alcune misure deflattive del carico di processi
(come l’estinzione mediante riparazione dei reati procedibili a querela,
nuove regole per le impugnazioni, una stretta sui ricorsi in
Cassazione) alla facilitazione del ricorso alle misure alternative al
carcere, al (contraddittorio) aumento delle pene per i reati di furto e
rapina, alla riforma della prescrizione che sostanzialmente sarà sospesa
(ma per i reati commessi da dopo l’entrata in vigore della legge) per
un anno e mezzo dopo il primo grado e un altro anno e mezzo dopo
l’appello – solo però in caso di condanna. Un’altra novità è il potere
del procuratore generale di avocare al suo ufficio, quindi presso le
corti d’appello, i fascicoli per i quali il pm non ha chiesto il rinvio a
giudizio o l’archiviazione in tre mesi dalla chiusura delle indagini.
Novità contro la quale è tornata a protestare l’Associazione magistrati,
prevedendo «gravi disservizi negli uffici»: quelli dei pg sono assai
meno dotati di quelli dei pm. L’Anm critica anche la delega sulle
intercettazioni, non tanto per le norme che cercheranno di limitare la
diffusione dei colloqui non rilevanti, quanto per i nuovi limiti all’uso
dei software spia (da adesso riservati alle indagini per mafia e
terrorismo).
«Dopo un lungo percorso parlamentare è una giornata
importante per la giustizia italiana», festeggia finalmente Orlando, che
non sempre ha avvertito il sostegno di Renzi e del Pd durante tre anni
di trattative sulla legge. Eppure questa, come tante in questa
legislatura alla camera dove pesa l’incostituzionale premio di
maggioranza, è una legge votata essenzialmente dal Pd. Le trattative il
ministro ha dovuto farle con Alfano e il suo gruppo, i quali alla fine
non hanno sabotato ma neppure aderito.
Su 267 voti favorevoli al
provvedimento, 239 sono del Pd (e mancano all’appello una quarantina di
voti renziani). Nel gruppo di Alfano, dopo una sofferta dichiarazione di
voto a favore («c’è un po’ di dolce e un po’ di aspro», ha spiegato
Adornato, indicando tra le cose aspre la prescrizione troppo lunga e la
videoconferenza per gli imputati), hanno votato a favore solo in 7 su
26. Quasi tutti in missione o assenti al momento del voto (anche lo
stesso Adornato è risultato assente) e un contrario di peso, il ministro
agli affari regionali Costa (ex vice alla giustizia): «La riforma
spinge verso un illiberale processo perpetuo», ha detto.
Più o
meno la stessa linea aveva seguito Ap in occasione del precedente voto
di fiducia, che è servito al governo per mettere al riparo la legge dai
voti segreti: un terzo del gruppo centrista non ha votato la fiducia al
suo governo, come pure aveva garantito. Ma il gruppo dei bersaniani ha
fatto anche di più. Anche i deputati Mdp (ma con motivazioni opposte
rispetto agli alfaniani) non hanno troppo apprezzato la legge,
dichiarando alla fine un voto di astensione. Sulla fiducia invece nessun
dubbio: «La si voterà perché non ci prestiamo a giochi che possano
mettere in difficoltà il governo», ha detto il deputato Zoggia. Poi però
metà gruppo, 20 deputati su 40, la fiducia non l’ha votata, risultando
assente nel momento della chiama dei parlamentari. Consapevoli loro come
tutti che la sovrabbondanza della delegazione Pd tiene al riparo il
governo da qualsiasi incidente alla camera.
Almeno nel voto palese. Quello segreto, come ha dimostrato la legge elettorale, è tutta un’altra storia.