il manifesto 15.6.17
Stadio della Roma, il cedimento 5stelle alla speculazione
di Paolo Berdini
Ci sono eventi che si caricano di date simboliche.
Il
voto che conferma il pubblico interesse alla vergognosa speculazione
fondiaria camuffata da stadio della Roma calcio è arrivato ieri, ad un
anno esatto dalla elezione a sindaco di Virginia Raggi.Nel breve volgere
di 365 giorni, dunque, la giunta pentastellata che aveva acceso tante
speranze di discontinuità nella conduzione della mala urbanistica romana
ha sconfessato tutto il programma elettorale.
La conferma del
pubblico interesse consente la realizzazione di 600 mila metri cubi di
cemento (6 alberghi Hilton avrebbe affermato Antonio Cederna): un
inaudito caso di speculazione edilizia.
Dobbiamo interrogarci sui
motivi reali del voltafaccia. E dobbiamo chiedercelo a maggior ragione
dopo la incredibile lettera che il sindaco Raggi ha inviato al Prefetto
di Roma per ottenere una «moratoria» sull’arrivo degli immigrati. Ma se
nel caso degli immigrati e dei rom la lettera non è giunta inaspettata
poichè il centro Baobab è stato in questi mesi già sgombrato 3 volte,
nel caso dello stadio della Roma la capriola è invece sconcertante.
Un
privato (la Roma calcio) sceglie l’area di Tor di Valle che è
completamente priva di infrastrutture. Dunque, per poter raggiungere lo
stadio dovevano essere costruite una serie imponente di infrastrutture
che realizzerà la stessa società in cambio di maggiori cubature rispetto
a quelle previste dal piano urbanistico.
Le amministrazioni
intelligenti scelgono i luoghi per costruire gli stadi in modo che le
nuove infrastrutture (metropolitane o strade) siano utili anche ai
quartieri limitrofi. Si poteva pensare ad un luogo più interno alla
città; più vicino alle periferie devastate che nella capitale sono
ampiamente diffuse e che stanno andando verso un degrado senza fine.
È
utile ricordare ancora che i quattro consiglieri comunali 5stelle
all’opposizione di Marino – tra cui Virginia Raggi – avevano condotto
contro quella scelta una limpida opposizione. Ora hanno mutato giudizio.
Uno dei motivi principali della scelta possiamo trovarlo nei rapporti
economici tra proprietà dei terreni (gruppo Parnasi) e tra il
conglomerato societario della Roma di James Pallotta e la banca che
vanta nei loro confronti crediti per oltre 100 milioni di euro, e cioè
Unicredit. Scegliendo un’altra area per costruire lo stadio i terreni
non sarebbero stati dei debitori dell’istituto bancario che non avrebbe
potuto così rientrare dalle esposizioni.
È noto che nelle vicende
urbansitiche di Roma e di ogni altra città, le banche sono sempre state
fondamentali attori per indirizzare finanziamenti verso i settori urbani
da sviluppare. Con gli enormi debiti che le banche italiane hanno a
causa dei disinvolti finanziamenti che hanno elargito con troppa
disinvoltura prima dello spartiacque della crisi del 2008, le operazioni
di trasformazione urbana più certe saranno quelle che permetteranno
alle banche di rientrare -almeno parzialmente- delle esposizioni
debitorie. Con la vicenda stadio si è dunque aperta una fase nuova del
ruolo della finanza e un cinico gioco sulla pelle dei cittadini che
chiedono da tempo di fermare ogni espansione urbana.
Con il voto
di ieri la giunta Raggi si è assunta un’enorme responsabilità e a nulla
vale affermare che Marino aveva consentito una volumetria ancora
maggiore (circa 1 mlione di metri cubi): il problema infatti non è di
merito ma soprattutto di metodo.
Alla prima occasione di decisione
urbanistica, la giunta Raggi si adegua al dominio incontrastato della
rendita, altro che la tanto evocata discontinuità. Il Pd, regista
dell’urbanistica romana ha ripreso i suoi disegni con gli stessi uomini
(e donne) che siedono nell’assessorato all’urbanistica.
Gli
effetti in termini di consenso non tarderanno a venire. Ferdinando
Imposimato, candidato alla carica di Presidente della Repubblica dai
5stelle è tra gli uomini maggiormente critici ed ha anche contribuito
all’elaborazione di un atto di significazione da tempo sul tavolo del
sindaco Raggi.
Insomma, passa (forse) lo stadio ma volano via consensi in una città delusa.