il manifesto 14.6.17
Enrico Rossi (Mdp): «Primarie con Renzi? Una presa in giro. Facciamole noi, Pisapia si pronunci»
Intervista/Sinistra.
Il presidentedella Toscana: «Il centrosinistra va ripensato. Stalinismo
escludere chi ha votato Sì il 4 dicembre, come me»
di Daniela Preziosi
Presidente
Enrico Rossi, ogni giorno per voi ha la sua pena: ogni giorno Renzi
rivolge un invito alla coalizione per Pisapia e un veto contro voi ex
Pd. L’ultimo: «Disponibilissimo a dialogare con Pisapia e Boldrini».
Renzi
ci prende in giro. Da un lato apre a Pisapia, dall’altro non esclude le
larghe intese con Berlusconi. Cosa che Pisapia esclude. Renzi è
ambiguo, ambivalente. Non propone nessun cambio di rotta. Ma teme di
perdere consensi a sinistra e confonde le acque.
Lei invece esclude le primarie con il Pd.
Se
avessi voluto fare le primarie con Renzi non sarei uscito dal Pd, ero
anche candidato. C’è una sola strada lineare per noi: c’è un grande
spazio a sinistra del Pd per una forza democratica che pone al centro la
questione sociale e una trasformazione profonda. Il voto delle comunali
lo conferma: il M5S non se la passa bene, il centrosinistra è anemico,
il Pd è in calo, l’affluenza pure. Come non porsi il problema di
costruire una forza al sinistra del Pd che raccolga la sinistra che c’è e
gli uomini e le donne che non si riconoscono nel progetto renziano?
Usciamo dalle diatribe del ceto politico. Bisogna individuare sette
punti programmatici, portarli alla discussione nel paese, poi
selezionare in modo democratico i candidati.
Insomma lei propone primarie e parlamentarie, ma della sinistra?
È
l’unico modo. Altrimenti chi potrebbe decidere se è civico o politico,
se è vecchio o nuovo? Così supereremo contrapposizioni e veti. Anche su
questo alla fine Pisapia dovrà pronunciarsi. I nostri avversari sono la
demagogia del M5S, la destra, e le politiche neoreganiane di Renzi.
L’ex premier Prodi guarda con interesse Pisapia e il vostro percorso. Il professore sarà nel vostro pantheon?
Un
suo autorevole pronunciamento sarebbe senz’altro un bene. Ma dobbiamo
discutere anche di contenuti. Le politiche di tutta la fase del
centrosinistra vanno cambiate, devono essere più nette sullo stato
sociale e i diritti del lavoro. E serve una riflessione sulle
liberalizzazioni.
Ma le lenzuolate di Bersani sono un simbolo di quella stagione. E la sinistra di allora non apprezzò.
In
alcuni casi ci sono state privatizzazioni che hanno lasciato il paese
nelle mani di pochi. Oggi dobbiamo prendere spunto dal programma di
Corbyn. Per esempio: scuola e sanità devono essere ancora più pubbliche.
Eppure
la sua riforma della sanità, in regione Toscana, è molto criticata a
sinistra. E Sinistra italiana, a cui lei propone un’alleanza nazionale,
non è nella sua maggioranza. Perché?
Chieda a loro. All’epoca ci fu
un dissenso sulle infrastrutture. Quanto alla sanità, nella mia regione è
sempre più pubblica. Il problema è che mancano le risorse.
Per fare primarie insieme dovrete comunque condividere un programma di massima. L’invito vale anche per il Prc?
Il
primo luglio (all’assemblea ’Nessuno escluso’, a piazza Santi Apostoli,
la storica piazza dell’Ulivo, ndr) presenteremo una piattaforma aperta
con sette punti programmatici: investimenti, piani per il lavoro,
rilancio dello stato sociale, patrimoniale, superamento di bonus e
mance, lotta all’evasione e ai privilegi. E recupero dei diritti del
lavoro: che non sarà un evento, sarà un’opera progressiva. Ma bisogna
cominciarla.
Cancellerebbe il jobs act?
Quella legge ha una parte
che non è stata finanziata, quella delle politiche attive. Per il resto
ha prodotto nuova precarizzazione: se almeno il contratto a tutele
crescenti avesse sostituito le 44 forme di contratti di precariato
com’era stato promesso. Oggi, finiti i soldi finito l’amore, le
assunzioni sono ferme. E la cancellazione dell’art.18 è scandaloso sul
versante dei licenziamenti senza giusta causa: se un giudice mi dà
ragione perché non devo essere reingrato? La Cgil ha presentato una
Carta dei diritti. Ripartiamo da lì. Saremo al corteo del 17 giugno
contro la reintroduzione dei voucher. Serve un cambio profondo: in
Italia siamo parte di un travaglio per il fallimento storico delle
politiche blairiane e della Terza via, come giustamente dice Giuliano
Amato.
Il vostro riferimento europeo resta il Pse?
Non può che
essere così, ma guardo con interesse a Mélenchon in Francia, alla Linke
in Germania. E a Tsipras in Grecia, un europeista schiacciato da vincoli
insostenibili. Ma anche a Sanchez in Spagna che combatte le larghe
intese da dentro il partito socialista.
Il 18 giugno andrà all’assemblea dei ’civici’ lanciata da Falcone e Montanari?
Certo.
Ma civici e politici siamo tutti. Nessuno ha la verità in tasca e
nessuno può porre veti. Li invito a misurarsi con quello che proponiamo.
La condizione perché l’elettorato si mobiliti è non costruire tre o
quattro liste, ma una. Certo, non un’ammucchiata arcobaleno né una
ridotta. Il processo democratico risolverà questo problema.
Ma i
civici, nel loro appello, si rivolgono al «popolo del No». Lei però,
come Pisapia, al referendum del 4 dicembre ha votato sì.
Faccio parte
di una componente che vuole costruire questa forza anche se ha votato
sì. Se guardiamo il passato di ciascuno non andiamo da nessuna parte.
Nessuno può cancellare le nostre storie. Quando la sinistra ha cercato
la purezza non è andata lontano. O erano i tempo dello stalinismo o
quelli della mera testimonianza.
Lo sbarramento al 5 per cento vi
obbligava all’unità. Ora che è sceso al 3, non è che rischiate di non
avere più bisogno di stare uniti?
Unirsi per un vincolo esterno, per
qualche posto da parlamentare, sarebbe una scelta meschina. Le nostre
ragioni per l’unità sono molto più profonde, stanno nella sofferenza dei
ceti medi e popolari. Se la nostra gente annusasse odore di meschinità
fra noi, non avremmo alcuna possibilità.