mercoledì 14 giugno 2017

Repubblica 14,6.17
Il nuovo tridente
PD, se il nemico viene da destra
di Piero Ignazi


IL RITORNO della destra non può essere considerato una sorpresa. Tutti i sondaggi hanno sempre mostrato che le sue varie componenti, sommate insieme, ricevevano gli stessi consensi del M5S e del Pd. Evidentemente si sono sopravvalutate le schermaglie tra Salvini e Meloni da un lato, e Berlusconi dall’altro. Come se non ci fosse ancora quell’”idem sentire” di cui parlava, un tempo, Umberto Bossi. Il tridente del 1994 — Forza Italia, Lega ed (eredi di) An — è ancora in piedi. E la sua radicalità non si è attenuata. Ha solo preso strade diverse. Invece di inveire contro i meridionali e Roma ladrona, il Carroccio versione Salvini punta il dito e alza la voce contro gli immigrati. I Fratelli d’Italia, dal canto loro, sono ancora più agguerriti rispetto ad An ultima versione, quella avviata verso un moderatismo di stampo conservatore: mentre Fini teneva le distanze in maniera inequivocabile dalla estrema destra europea, Giorgia Meloni inneggia a Marine Le Pen. E Forza Italia, infine, come sempre, alterna il pelo del lupo al manto dell’agnello. In questa fase post-referendum è rimasta sorniona a guardare i pasticci combinati dal suo amato-odiato “royal baby”, alias Matteo Renzi, e sembra volergli tendere paternamente la mano. Ma a qual fine? In realtà, Berlusconi coltiva solo un desiderio: quello di tornare a occupare un ruolo centrale nella politica italiana. Non ammette uscite di scena o passaggi di testimone. Per questo ondeggia tra disponibilità a collaborare — come sulla legge elettorale — e barricate — come sul referendum. Le oscillazioni del Cavaliere hanno però un costo: disorientano i tradizionali elettori forzisti, tanto che il partito deve competere con la Lega per conquistare il primato all’interno dello schieramento di destra. Infatti Forza Italia è ancora sostenuta da coloro che non vogliono nemmeno sentire parlare di “sinistra”. Il suo elettorato — soprattutto teleutenti, anziani e casalinghe con basso livello di istruzione — è motivato da sentimenti politici estremamente tradizionalisti e autoritari: il consenso per l’introduzione della pena di morte così come l’opposizione ai matrimoni gay e all’aborto sono molto alti. E anche sull’immigrazione i forzisti non distinguono tanto dai leghisti. Non per nulla i due terzi dell’elettorato (allora PdL) del 2013 si collocava su posizioni vicine all’estrema destra (dati Itanes).
Certo. Berlusconi può plasmare a piacimento la politica del suo partito. Ma se voleva imprimere una svolta moderata poteva sostenere il progetto che lui stesso aveva avviato per una rifondazione del partito, ma che, affidata a Stefano Parisi, è durata solo una notte di mezza estate.
Questo test elettorale ha mostrato che lo scontro finale non riguarda solo Pd e Cinquestelle: la destra è ancora in campo. Soprattutto se si andrà al voto con un sistema maggioritario. Questo passaggio mette in tensione la strategia di Matteo Renzi che dal 2014 in poi è stata impostata sullo scontro con i Cinquestelle. Il nemico numero uno del partito, e dello stesso sistema politico, era il populismo grillino. Infatti, in questi anni il conflitto tra Pd e M5S è stato asperrimo, anche per la veemenza anti-Pd dei pentasellati. Ora lo schema di gioco del Pd deve cambiare perché la sfida più pericolosa viene da destra. Non che “la pelle del grillo” sia già acquisita, come ricordava Ilvo Diamanti: tutt’altro. Ma il M5S deve affrontare il faticoso passaggio da movimento anti-politico, catalizzatore di ogni protesta, a partito organizzato e strutturato, con leader o aspiranti tali inevitabilmente in conflitto tra loro. Non sarà un tappeto di rose. Si sono già visti i primi effetti a livello locale.
E allora l’antagonista del Pd (ri)diventa la destra unita. Per sconfiggerla sono necessari alleati; e anche, evitare che i Cinquestelle appoggino la destra in ostilità al Pd. Tutta una nuova strategia.