Il Fatto2.6.17
Il M5S spaventa Renzi e B. “La legge elettorale non va”
Si
 ricomincia - I 5 Stelle pieni di dubbi sul sistema proposto da Pd e Fi.
 La minoranza interna esce allo scoperto: “Questo è un mega-Porcellum”. 
Senza di loro in Senato i voti non ci sono
di Wanda Marra
Che
 ci fosse qualcosa di decisamente poco votabile nella legge elettorale 
simil-tedesca, come scritta nell’emendamento Fiano, i Cinque Stelle 
l’hanno cominciato a capire mercoledì sera. Tanto è vero che alla Camera
 c’è stata una riunione infuocata. Il colpo di grazia è arrivato con la 
lettura dei giornali della mattina, che evidenziavano alcuni dettagli 
fondativi del nuovo sistema non proprio piacevoli: ad esempio il fatto 
che tutto il nuovo Parlamento sarà nominato dai vertici dei partiti. E 
così – nonostante un’intervista in cui Luigi Di Maio ribadiva la 
disponibilità del Movimento – sono partite le critiche alla legge e 
all’accordo. Comincia Paola Taverna: “È quasi un mega-Porcellum: noi 
faremo degli emendamenti, io personalmente non mi sarei messa nemmeno lì
 seduta”, dice. Poi la senatrice 5 Stelle esplicita una motivazione più 
politica: “Non so neanche se è un bene andare a votare subito perché 
così gli leviamo la patata bollente della legge di stabilità”. Segue a 
ruota Roberto Fico: “L’accordo sulla legge elettorale non è affatto 
sancito”.
Tra le cose che al Movimento non piacciono c’è la 
ripartizione nazionale e non circoscrizionale dei seggi (che sfavorisce i
 partiti più grandi, mentre M5s vorrebbe addirittura un qualche “premio 
di governabilità”), l’impossibilità di esprimere il voto disgiunto tra 
collegio uninominale e listino proporzionale e il 100% di nominati.
Per
 adesso, però, non c’è nessuna posizione definitiva del Movimento: le 
critiche esplicite al testo firmato da Emanuele Fiano arrivano dalla 
“minoranza”, per così dire, dei grillini. Per ora non sono state 
avanzate neanche proposte esplicite di modifica in commissione Affari 
costituzionali, dove il termine per gli emendamenti scade domani sera.
Il
 candidato premier in pectore Di Maio ha scritto un post per dire che 
“Renzi è un pericolo per la democrazia” (dopo che Alfano ha sostenuto 
che il segretario dem gli avrebbe chiesto di far cadere Gentiloni), ma 
si è guardato bene dall’affossare l’accordo elettorale con Pd e 
Berlusconi. Insomma, i Cinque Stelle non sono compatti: i dubbi 
sull’intesa restano, le perplessità sul finto-tedesco anche di più, ma 
cosa faranno non è ancora chiaro neanche a loro.
La posizione 
ufficiale del Pd la chiarisce il capogruppo, Ettore Rosato: “Noi siamo 
disponibili a discutere per verificare se c’è una soluzione, ma bisogna 
tenere conto anche dell’utilità delle scelte, tenendo presente che non è
 un accordo tra noi e il M5s ma anche con Fi, Lega e Si”. Tradotto: 
difficile pensare che si possa veramente toccare qualcosa, visto che 
ogni dettaglio è stato concordato con Berlusconi.
L’unica cosa 
certa è che se i 5 Stelle dovessero davvero decidere di non votare, il 
tavolo rischia di saltare: niente legge elettorale e niente voto in 
autunno. Non a Montecitorio, dove Pd (renziano) e Forza Italia hanno i 
numeri, ma in Senato: senza M5S, senza Alfano, senza pezzi del Pd, senza
 i bersaniani e neppure l’aiuto dei verdiniani la vita si farebbe 
durissima. I renziani, per ora, sperano che a garantire un dibattito 
contingentato sia il presidente del Senato, Pietro Grasso, al quale si è
 fatta balenare la candidatura per la guida della Regione Sicilia.
Ma
 Renzi è nervoso e in realtà al Nazareno nessuno riesce più a dire come 
andrà a finire, neanche lui: “Può accadere che facciamo la legge e non 
si fa a votare e può succedere che la legge non si fa e si va a votare 
con un decreto”, un po’ vaticina e un po’ minaccia. Spera ancora, 
comunque, che alla fine passi la linea Di Maio: sì alla legge, perché al
 Movimento conviene.
Il segretario, comunque, valuta ogni 
possibile piano B: sulla base di come vanno le cose a Montecitorio, 
persino tornare al cosiddetto “Rosatellum”. Renzi comincia pure a 
valutare il rischio di passare come l’unico che vuole le elezioni, 
quello che dopo Letta è pronto a far fuori Gentiloni.
Forse per 
questo, quando Francesco Rutelli lo introduce, all’ingresso dei giardini
 del Quirinale, “ecco l’ex premier oppure ecco il premier”, lo stoppa. 
Sulla data delle elezioni non si sbilancia, ma è quando parla del M5s 
che si capisce che sta cercando il modo di stanarli: “Se la legge salta 
il M5S va in difficoltà. Noi le preferenze le gestiamo. È stato 
raccontato come inciucio Renzi-Berlusconi ma è un’operazione di serietà 
istituzionale e questo ha tolto a loro ogni alibi”. Azzarda anche una 
mezza apertura: “Il voto disgiunto? Se il problema è solo quello… Noi 
siamo flessibili”. Alla fine del ricevimento, a scanso di equivoci, si 
apparta con Gentiloni per un quarto d’ora: il premier forse gli ha detto
 che “sta sereno”.
 
