venerdì 9 giugno 2017

Il Fatto 9.6.17
Alla fine Renzi s’è incartato: fuoco amico sul tedeschellum
I 5Stelle votano un loro emendamento che estende il sistema elettorale pure al Trentino I “ribelli” Pd danno una mano a farlo passare. Il segretario e i suoi: “Basta, l’intesa è saltata”
Alla fine Renzi s’è incartato: fuoco amico sul tedeschellum
di Wanda Marra


Nessun ritorno al tavolo della trattativa sull’appena defunto “Tedeschellum”, nessuna nuova legge elettorale. Ma la rapida fine della legislatura e poi il voto con i due sistemi usciti dalle sentenze della Consulta. La scusa? Uno dei prossimi voti al Senato, sul quale il governo potrebbe/dovrebbe chiedere la fiducia (come la manovrina e lo ius soli) e andare sotto, per mano di Articolo 1 o degli alfaniani. Matteo Renzi continua a immaginare strategie, a prefigurare tattiche di guerriglia, ma la realtà è che si è incartato. La fine del patto a 4 è un fallimento e ormai c’è il conflitto con il Colle – sulla possibilità di fare un decreto per rendere omogenee le leggi elettorali di Camera e Senato – è aperto.
Breve cronaca di una giornata convulsa, delirante.
Ore 9. Matteo Richetti, facendo la rassegna stampa via Facebook, svela il piano B democratico: “Se un Parlamento, dopo i richiami del capo dello Stato e della Corte costituzionale, non riesce a fare una legge elettorale, ci vuole un bel coraggio a dire che la legislatura deve continuare”. Una dichiarazione che sembra prefigurare quello che succederà subito dopo.
Ore 11.20. È il momento clou della giornata. Primo voto segreto su due emendamenti identici di Michaela Biancofiore (Fi) e Riccardo Fraccaro (M5s), che elimina i collegi maggioritari che la legge elettorale manteneva in Trentino Alto Adige: la Camera approva (270 a favore, tra cui M5s, 256 contro). Il Pd si era fatto garante col partito sudtirolese Svp del mantenimento del Mattarellum nella regione. La maggioranza va sotto e parte la caccia ai franchi tiratori: chi ne conta 60, chi addirittura 130 nei gruppi di maggioranza. Nell’emiciclo Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio sono terrei. Roberto Fico esulta. Twitta Alfredo Bazoli, deputato dem: “La legge è morta”.
Ore 12. Il gruppo del Pd dà visibili segni di spaccatura. “Renzi è bollito, basta”, commentano in molti.
Ore 13. Ettore Rosato, il capogruppo Pd, sonda i Cinque Stelle. Vuole capire se ci sono margini: il Movimento ha già fatto sapere che voterà gli emendamenti per introdurre le preferenze e il voto disgiunto. Intanto, Lorenzo Guerini e Matteo Orfini puntano il dito: “Il M5s ha fatto fallire l’accordo. La legge è finita”. Matteo Renzi, al Nazareno, manda WhatsApp infuocati a tutti, dà la linea: “Non possiamo andare avanti. Che figura ci facciamo se andiamo sotto sulle preferenze?”. Il Pd non può intestarsi la responsabilità di essere l’unico a non volere una legge sulle preferenze. Meglio finirla subito.
Ore 14. Il Transatlantico offre uno spettacolo scomposto. Beppe Fioroni, un democristiano vecchia maniera, riappare dopo mesi di assenza. “Ora a votare ci si andrà il più tardi possibile”, dice a tutti. Soddisfazione. Lui – come un centinaio di altri deputati – era di quelli che alla Camera rischiavano di non tornarci più. Prosegue la “caccia” al franco tiratore del Pd. Dentro e fuori dal gruppo molti puntano il dito sulla corrente “orlandiana”. Due di loro, Daniele Marantelli e Andrea Martella: “Questa legge non ci piaceva. Ma certo adesso non è il caso di correre al voto”. Si vagheggia anche di un “auto-affossamento” dei renziani, che una volta capita la malaparata avrebbero approfittato della prima occasione per mandare tutto all’aria. Tra i voti in difformità appare quello dell’ultrà renziano Michele Anzaldi. “Mi sono sbagliato. E poi, ho spostato il dito e ho votato correttamente”, dice lui.
Ore 15. Rosato chiede il ritorno in Commissione della legge. Accuse: “Abbiamo subito un tradimento e anche tra avversari non ci si tradisce”. Risposta di Toninelli (M5s): “Se in quest’Aula ci sono traditori, dei vigliacchi e degli irresponsabili questi appartengono al Pd”. Intanto Brunetta (Fi) chiede che si vada avanti con la legge. Anticipa le dichiarazioni di Berlusconi: “Una legge è l’unica strada per votare. Pd e M5s siano responsabili”.
Ore 16. Finisce la segreteria del Pd convocata al Nazareno per le 15. Tocca ancora a Matteo Richetti dare la linea: “Ora ci sono le amministrative. Martedì si vedrà”. Si prende tempo.
Ore 17. I centristi di vario genere esultano in Transatlantico, parlano di un accordo che si farà, abbassando la soglia al 4%. Intanto Renzi “sonda” Mattarella sulla possibilità del decreto. Il Colle non è disponibile, almeno fino a dicembre.
Ore 18. Gli umori dei renziani si abbassano. Tra i vicinissimi al Capo c’è chi dice: “Meglio non insistere con il voto anticipato”.
Ore 20. Renzi incontra Gentiloni. Parlano della Rai, ma fanno il punto su tutto. In questi giorni si capirà se il premier è disposto a seguire la strada verso l’uscita da Palazzo Chigi che gli prospetta il segretario Pd. Chi lo conosce assicura che “lui di sicuro non resisterà”. Tradotto: se c’è un motivo potrebbe anche dimettersi. Ma se Mattarella lo rimanda alle Camere è tutto da vedere. Il problema è tra il Colle e il Nazareno. E tra Renzi e il resto del mondo.