Il Fatto 7.6.17
Legge elettorale: c’è un grande futuro alle nostre spalle
di Peter Gomez
Dato
che in Italia, come ci insegnava Leo Longanesi, la rivoluzione non si
può fare perché ci conosciamo tutti, i nostri eroi hanno pensato bene di
provarci con la restaurazione. Il sistema elettorale proporzionale di
cui tanto si discute in questi giorni è solo il primo atto. Dopo essere
rientrati trionfalmente nella Prima Repubblica e aver
istituzionalizzato, grazie al 60 per cento di parlamentari nominati,
pure la partitocrazia, noi elettori a partire dalla prossima legislatura
proveremo più volte il brivido di altre riconquiste. Qualcuna l’abbiamo
in parte già assaggiata.
Per esempio il controllo totale da parte
del governo sulla Rai che ha riportato la tv di Stato agli anni
precedenti alla riforma del 1975, quella che aveva sì introdotto la
lottizzazione, ma che almeno aveva garantito un po’ di pluralismo. Non
dobbiamo però disperare. Nel quinquennio che verrà faremo meglio. Se,
come si prevede, dopo le elezioni Pd e Forza Italia governeranno
insieme, l’esecutivo terrà saldamente in mano anche Mediaset, il
principale polo televisivo privato. Con evidenti vantaggi per
telespettatori ed editori. I palinsesti concordati a monte eviteranno
inutili doppioni. I tg non remeranno mai contro e la Santa Alleanza
politico-televisiva permetterà pure grosse economie di scala. Perché, ad
esempio, svenarsi nell’asta per l’acquisto di un buon film o di una
serie mozzafiato quando i due teorici concorrenti si possono invece più
comodamente accordare su prezzi e spartizioni durante degli incontri
organizzati a margine del Consiglio dei ministri?
Ma non basta. Il
congresso di Vienna permanente che verrà istituito nei palazzi del
potere porrà pure definitivamente fine a ogni tipo di scontro tra
politica a giustizia. Come? Riportando l’orologio della Storia a
un’epoca molto antecedente rispetto a Mani Pulite: gli Anni 50, 60 e 70.
Un periodo d’oro in cui mai (o quasi) si sentiva un eletto prendersela
con un magistrato o con un investigatore. Anche perché di indagini sui
potenti se ne facevano davvero poche e quando per caso ne partiva una il
risultato era scontato: l’insabbiamento. I presupposti per tornare a
quel fausto quarantennio ora ci sono tutti. Nel futuro Parlamento i
deputati e i senatori decisi a resistere a ogni inchiesta giudiziaria o
giornalistica saranno la stragrande maggioranza. In questo schieramento,
che è giusto definire di pacificatori nazionali, militeranno i Dem, i
forzisti e pure i leghisti.
Anche i seguaci di Matteo Salvini,
come ha avuto modo di spiegare la scorsa settimana il loro leader, in
materia di giustizia penale hanno infatti le idee chiare: vogliono che
sia la politica a decidere che reati perseguire, sognano giudici e
pubblici ministeri eletti dal popolo e in ogni caso pretendono
un’assoluta separazione delle carriere. Ovvio, è difficile che norme di
questo tipo possano essere fatte proprie dal Partito democratico (Forza
Italia invece ci metterebbe la firma), ma l’idea che sia la politica a
recuperare il suo primato piace a tutti. E quindi oggi possiamo con
tutta serenità affermare che nelle prossime Camere ci saranno i numeri
per mettere la mordacchia (si vedrà poi come) a magistrati e
giornalisti. Basta attendere fiduciosi. È solo una questione di tempo.
Perché il proporzionale dei nominati non è solo perfettamente
costituzionale. È pure il sistema ideale per fotografare questa povera
Italia in crisi, brava ormai solo a camminare a passi di gambero.