Il Fatto 19.6.17
L’impero romano fu il più potente grazie allo Ius soli
di Orazio Licandro
La
questione della cittadinanza e la sua concessione agli stranieri non è
certo un fenomeno della nostra post modernità. Nell’esperienza giuridica
romana il problema non è stato affrontato con divieti, barriere, muri,
eserciti, espulsioni. Al contrario, grazie al sano pragmatismo, il
processo è stato quello inverso di progressivo, irreversibile
allargamento, estensione. All’inizio era cittadino romano chi nasceva da
iustae nuptiae e il padre era cittadino romano, altrimenti si seguiva
la condizione della madre al momento del parto. Adriano nel II secolo
d.C. introdusse una riforma, stabilendo che il figlio di un padre latino
e di una madre romana fosse un romano (Gaio, Istituzioni 1.30, 1.80).
Ma le classi dirigenti romane nel corso dei secoli concessero la
cittadinanza a singoli come a intere comunità, sino a quando Antonino
Caracalla, nel 212 d.C., varò la cosiddetta Constitutio Antoniniana
(Papiro Giessen 40.1), cioè la concessione universale della cittadinanza
a tutti coloro che si trovavano all’interno dell’impero. Oggi la
definiremmo una vera, gigantesca sanatoria; eppure quel provvedimento
rese l’impero romano multietnico, multireligioso e multiculturale e,
anche per queste ragioni, divenne il più potente e longevo del mondo
antico. Ecco, osservando con sconcerto l’iter legislativo della riforma
sullo Ius soli, e soprattutto l’ennesima piroetta del M5S di revoca del
consenso alla proposta di legge, non riesco a trattenermi dal suggerire a
quei meravigliosi ragazzi guidati da Grillo di guardare meno a Salvini e
magari di studiare di più. Basterebbe appena procurarsi un manuale di
storia del diritto romano. Per fortuna, ce ne sono ancora di buoni in
circolazione!