lunedì 19 giugno 2017

Il Fatto 19.6.17
L’impero romano fu il più potente grazie allo Ius soli
di Orazio Licandro


La questione della cittadinanza e la sua concessione agli stranieri non è certo un fenomeno della nostra post modernità. Nell’esperienza giuridica romana il problema non è stato affrontato con divieti, barriere, muri, eserciti, espulsioni. Al contrario, grazie al sano pragmatismo, il processo è stato quello inverso di progressivo, irreversibile allargamento, estensione. All’inizio era cittadino romano chi nasceva da iustae nuptiae e il padre era cittadino romano, altrimenti si seguiva la condizione della madre al momento del parto. Adriano nel II secolo d.C. introdusse una riforma, stabilendo che il figlio di un padre latino e di una madre romana fosse un romano (Gaio, Istituzioni 1.30, 1.80). Ma le classi dirigenti romane nel corso dei secoli concessero la cittadinanza a singoli come a intere comunità, sino a quando Antonino Caracalla, nel 212 d.C., varò la cosiddetta Constitutio Antoniniana (Papiro Giessen 40.1), cioè la concessione universale della cittadinanza a tutti coloro che si trovavano all’interno dell’impero. Oggi la definiremmo una vera, gigantesca sanatoria; eppure quel provvedimento rese l’impero romano multietnico, multireligioso e multiculturale e, anche per queste ragioni, divenne il più potente e longevo del mondo antico. Ecco, osservando con sconcerto l’iter legislativo della riforma sullo Ius soli, e soprattutto l’ennesima piroetta del M5S di revoca del consenso alla proposta di legge, non riesco a trattenermi dal suggerire a quei meravigliosi ragazzi guidati da Grillo di guardare meno a Salvini e magari di studiare di più. Basterebbe appena procurarsi un manuale di storia del diritto romano. Per fortuna, ce ne sono ancora di buoni in circolazione!