Il Fatto 19.6.17
L’ascensore sociale tra i banchi non funziona più
di Alex Corlazzoli
Marco,
non ammesso alla classe seconda. Daniele, non ammesso all’esame di
Stato. Così è accaduto anche per Luigi e Carolina e tanti altri. Davanti
ai tabelloni esposti nelle scuole medie (per usare una terminologia
nota a tutti) in questi giorni abbiamo visto ancora nomi e cognomi con
accanto una negazione. Bocciati.
È accaduto anche alla scuola
primaria: nell’ultimo anno scolastico 2015/2016 sono stati 11.071 e
nell’anno precedente 11.866 i bambini fermati. Pochi percentualmente
rispetto al totale degli alunni in Italia, ma se provate a chiedere al
ministero chi sono questi ragazzi non c’è una risposta. Non lo sanno:
manca un’indagine qualitativa su di loro.
L’unico dato sul quale
riflettere arriva dall’Ufficio statistica e studi del Miur rispetto alla
secondaria di primo grado: “Il passaggio da un anno scolastico
all’altro risulta più problematico nel caso di studenti non italiani: il
tasso di ammissione si riduce al 91% rispetto al 97,5% degli italiani”.
Davanti alla lista di ammessi e non ammessi non ci si accorge ma si
compie il primo passo verso l’immobilismo sociale che ha segnato e segna
ancora intere generazioni in Italia.
Per dirla con le parole
della casalinga di Voghera (e mi perdonino le casalinghe!) il figlio del
dottore non è certo tra i bocciati alla primaria e nemmeno alle medie. E
terminata la secondaria di primo grado si iscriverà al liceo. Concluso
il Classico o lo Scientifico si iscriverà all’Università e farà il
medico o l’avvocato. Così suo figlio, il nipote del dottore.
Una
sorta di catena che Marco Magnani in Sette anni di vacche sobrie (Utet) a
proposito di mobilità sociale aveva ben compreso scrivendo che “Il
titolo di studio posseduto dai genitori è tuttora, in Italia, un forte
indice predittivo dei risultati scolastici e universitari dei figli”.
Il
problema è proprio il punto di partenza. Non è una questione di merito
ma di posizioni di partenza. Scrive ancora Magnani: “La mobilità sociale
dovrebbe garantire che l’uguaglianza formale degli individui nelle
società moderne, e cioè il riconoscimento degli stessi diritti a tutti i
cittadini e a prescindere dalle loro origini, si traduca in una reale
uguaglianza delle opportunità”.
Il sociologo Milton Roemer la
traduce così: non si tratta di appiattire le differenze e le qualità
individuali ma di livellare il campo di gioco. Il nostro campo-scuola è
livellato? Se alla scuola primaria da sempre viene riconosciuta una
maggiore capacità di dare pari opportunità a tutti, le medie sono
l’anello debole del nostro sistema d’istruzione e da anni non si fa
nulla per mettere mano a questo pezzo del nostro sistema d’istruzione.
La
Fondazione “Giovanni Agnelli” negli anni scorsi ha dedicato il proprio
report annuale proprio a questo segmento dando una sentenza che nessun
ministro dell’Istruzione ha preso in considerazione: “La scuola
secondaria di primo grado non solo è incapace di attenuare le differenze
sociali, ma diventa addirittura l’incubatore di disuguaglianze
destinate poi a esplodere nel ciclo superiore. Nella scuola media inizia
un processo di selezione, che non è neutrale rispetto all’origine
sociale e culturale dei ragazzi: abbiamo scoperto che tra l’80% e il 90%
della differenza negli apprendimenti per origine sociale si forma
proprio alla secondaria di primo grado”.
Non sarà certo la Buona
scuola a invertire la tendenza all’immobilismo sociale. Anzi. In questi
giorni la stessa ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha ammesso che
nella Legge 107 c’è un buco: la scuola media.
I risultati sono
sotto gli occhi di tutti. Basta saper leggere i dati raccolti da
AlmaDiploma su 261 istituti per un totale di 43.171 studenti di sedici
regione diverse per capire che siamo impantanati.
Solo un liceale
su sei proviene da una famiglia di operai. Nel 2016 al classico si sono
diplomati solo l’8,7% di ragazzi figli di impiegati o di genitori che
stanno alla catena di montaggio a fronte di un 45% di figli di
professionisti, dirigenti, docenti universitari e imprenditori. Così
come scopriamo che il 43% dei laureati in medicina proviene da classi
sociali elevate. I figli di operai e impiegati rappresentano solo il 15%
dei laureati magistrali a ciclo unico contro un 34% costituito da figli
della classe sociale più elevata. Ma di fronte a questi dati, voltando
le spalle all’articolo 34 della Costituzione che rende “effettivo il
diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi con borse di studio”
per i capaci e meritevoli anche se privi di mezzo, il governo Renzi
aveva messo in campo 400 super -borse nazionali del valore di 15 mila
euro annuali che sarebbero andate a una minoranza di ragazzi.
di Alex Corlazzoli