Il Fatto 19.6.17
La depressione di Trentin per il fallimento della sinistra
Nelle
parole dell’ex segretario Cgil la disperazione per una crisi più grande
dei piccoli personaggi di allora: le isterie di Occhetto, gli
infantilismi di Bertinotti, la forsennata ambizione di Giuliano Amato
di Salvatore Cannavò
Un
lucido lamento disperato per la fine della sinistra. I Diari di Bruno
Trentin appena pubblicati, a dieci anni dalla sua morte, dalla casa
editrice della Cgil (Bruno Trentin, Diari 1988-1994,Ediesse, 510 pg.)
restituiscono le angosce psico-fisiche di un dirigente sindacale che
incorpora, anche nella depressione, il cambio d’epoca e lo smarrimento
della sinistra.
Il crollo del muro di Berlino, la fine dell’Urss,
lo scioglimento del Pci, Tangentopoli, la crisi valutaria, la morte di
Falcone e Borsellino, l’avvento di Silvio Berlusconi. Il fiato non basta
a leggere in sequenza gli avvenimenti storici che si accavallano in
quei cinque anni. L’allora segretario della Cgil, chiamato a dirigere il
sindacato nel pieno di una crisi e dall’alto di una storia che lo aveva
portato, da segretario della Fiom, a guidare l’autunno caldo, ne scrive
in modo doloroso nei diari, pubblicati su iniziativa della compagna,
Marcelle Padovani (Marie) e grazie al lavoro della Fondazione Di
Vittorio della Cgil e di Iginio Ariemma.
Il libro si è già
segnalato alle cronache soprattutto per i giudizi impietosi su alcuni
personaggi. Dall’ “isteria e rancore monomaniaco” di Achille Occhetto,
di cui si sottolinea a più riprese “la povertà culturale” al “lucido ed
equilibrato” Massimo D’Alema che “sarà un buon segretario, ma non un
riformatore” anche perché “i progetti non lo interessano se non sono la
giustificazione di un agire politico”; dall’“avventurismo mascalzonesco”
di Fausto Bertinotti con il suo “movimentismo parolaio”, al “vuoto
progettuale” di Giorgio Napolitano; dalla “forsennata ambizione” di
Giuliano Amato fino alla cultura da “mercanti di tappeti” di Cisl e Uil.
Va meglio a Romano Prodi e al suo “corrucciato narcisismo”, molto
peggio all’ex Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, “meschino e
avido commis del capitale e traditore dello Stato”. Non si salva la
Cgil dove Luciano Lama agita “una guerra per bande”, né l’amico Pietro
Ingrao, i cui discorsi “attestano un dilettantismo retorico e
narcisistico e sono anche un mio fallimento come quello di tutta una
generazione”. Viene coinvolta anche Rossana Rossanda con i suoi “penosi
balbettii”.
Il rancore amaro, non pensato per la pubblicazione,
esprime la disperazione, letterale, per una sinistra immersa in “una
cultura politica meschina (…) l’altra faccia, laida, dello sgretolamento
del sistema comunista nell’Europa dell’Est, la vanificazione grottesca
di decenni di lotte, di sacrifici, di lutti, di odi e passioni”. Trentin
sente la crisi storica del movimento operaio: “Questi 40 anni che sono
tutta la mia vita e prima ancora gli anni che vanno dalla prima guerra
mondiale ad oggi sono stati irrimediabilmente perduti per tre quattro
generazioni”. Di fronte al tracollo a Est si rende conto che “ciò che
non sarà mai più come prima è la possibilità di contare sulla fiducia di
milioni di uomini e di donne nell’ineluttabilità della storia”.
Solo
un’altra testimonianza, ben più tragica, ha fatto coincidere così
esattamente la disperazione politica per la fine di una utopia con
quella esistenziale, il suicidio di Lucio Magri. Anche Trentin ha
desideri di morte – “mi pare di dovermi gettare ai margini di un
sentiero e morire” -, ma resta immerso nella depressione, appena
dilatata dalla bellezza delle scalate in montagna e dalla montagna,
letterale, di libri che legge e cita in continuazione, anche in inglese e
francese.
La lettura imponente è la prova vivente dell’assillo:
la soluzione alla crisi è il progetto, la discussione sull’identità e
sui programmi. A Occhetto che vuole “solo cambiare il nome, poi si
vedrà” propone una Conferenza programmatica, scelta che le “anime morte
del Pds” non sono in grado di affrontare. Diverso sarà nella Cgil
nonostante “l’involuzione morale”, i “giochetti politici” del capo della
componente socialista, Ottaviano Del Turco, o la “demagogia delirante”
di Fausto Bertinotti, il più citato nei diari.
Qui l’azione di
messa “in salvo” passa per lo scioglimento delle componenti partitiche e
per un dibattito interno rimodulato sul “programma”. Sarà questo a
stabilire maggioranze e minoranze. E sul programma Trentin guarda alla
Rivoluzione francese, al primato della “libertà” sulla “uguaglianza”.
Più Robespierre che Marx anche se la tematica democratica va legata al
movimento operaio in un binomio di valori. Nasce il “sindacato dei
diritti” e, in pieno travaglio comunista per il cambio del nome, propone
a Occhetto “il Partito del Lavoro”. Non sarà ascoltato e l’ex
segretario del Pci, scrive Trentin, collocherà il Pds “alla destra di
Craxi”.
Della controversa firma nel luglio ‘92, all’accordo sulla
scala mobile e della paura di essere additato come responsabile del
fallimento finanziario del Paese, si è già scritto molto. Meno dei
giudizi dati sui protagonisti: la “miseria” di Amato e del suo
“squallido” governo, Luigi Abete, “democristiano, piccolo capitalista
assistito”, la “miseria delle reazioni elettoralistiche di gran parte
del Pds”.
Ma al di là del lascito sindacale, con errori e
contraddizioni, i Diari restituiscono più ampia la dimensione culturale,
etica e intellettuale di un dirigente che ha intravisto inascoltato una
crisi e una strada da intraprendere, quella della ricerca progettuale.
Nessuna delle forze nate in quel bivio storico l’ha mai tentata. Non è
un caso se la sinistra oggi non esista praticamente più.