sabato 17 giugno 2017

Il Fatto 17.6.17
La vera sinistra lasci perdere i Blair e i Clinton
di Gian Giacomo Migone


Tra le tante cattive abitudini della sinistra, in passato ve n’era una sicuramente buona: di collocare i propri obiettivi in un contesto più ampio di quello italiano. Potrebbe orientarci nel campo delle cento pertiche in cui rischiamo di perderci. Parliamone, nei numerosi appuntamenti dei prossimi giorni. Oggi la Cgil guida una protesta sacrosanta contro un governo che, al di là del merito pure inaccettabile, colpisce il diritto dei cittadini a effettuare un referendum indetto a norma di Costituzione. Domani Anna Falcone e Tomaso Montanari, al Brancaccio, propongono di ripartire dalla formulazione di un programma unificante dal basso, mentre Campo Progressista, guidato da Giuliano Pisapia e forse ispirato da Romano Prodi, ha centrato la propria iniziativa sul tema degli schieramenti, sollecitato dall’imminenza delle elezioni politiche. Sullo sfondo resta il tema irrisolto della legge elettorale, all’odg dell’assemblea dei comitati per il no che, il 24, dovrà decidere il proprio futuro. Non dimentichiamo che il 25 si passerà dalle parole ai fatti con i ballottaggi in decine di capoluoghi di provincia (cruciale quello di Genova).
Il resto del mondo c’entra e come, anche se viene raramente menzionato – forse con la sola eccezione di Prodi – dai pur degni protagonisti di queste iniziative. Noi siamo parte di un Occidente che è colpito da una crescente disuguaglianza che si traduce in sofferenza sociale, mancanza di prospettive delle giovani generazioni, guerre tra poveri (migranti e non), azioni militari prive di soluzioni pacifiche, con conseguente indebolimento di istituzioni politiche guidate da protagonisti, in numero e misura crescente corrotti e incompetenti, ma che risultano impotenti. Screditati perché nominalmente titolari di poteri erosi da interessi che nuotano come pesci nel fiume in piena di una globalizzazione che, in un mondo in tortuosa transizione verso un assetto multipolare nemmeno delineato, è privo di regole, in balia di violenze individuali e statuali, indifferente ai pericoli dell’autodistruzione ambientale. Se di tutto ciò siamo fatalisticamente consapevoli in Italia, ci sfugge che siamo a una svolta che potrebbe anche essere catastrofica – la storia del secolo scorso insegna quanto possa comportare l’impoverimento dei ceti medi – ma che offre una nuova e diversa prospettiva. Innanzitutto, risulta sconfitto il tentativo di una sinistra che insegue la destra sul proprio terreno, assimilandone una cultura neoliberista con pretenziosità scientifica screditata. I Blair, i Clinton non resusciteranno (politicamente) e il loro anacronistico emulo nostrano è lui stesso consapevole del suo vertiginoso declino al punto di tentare di anticipare una scadenza elettorale. Nello stesso tempo la destra Tory e quella repubblicana assorbe il populismo reazionario. Chiediamoci, invece, cosa ha portato Jeremy Corbyn a sfiorare la vittoria elettorale, consolidando la propria leadership, e Bernie Sanders a vincere le primarie in 21 stati, con un apparato di partito che ha preferito regalare la presidenza a Trump manipolando regole interne e statuali. In essenza, quattro fattori: 1) un programma classicamente socialdemocratico, d’impostazione neokeynesiana, solidale anche nei confronti degli immigrati; 2) una mobilitazione di giovani che invadono i partiti tradizionali, ma rifiutano di sostenere (nel caso statunitense, votare) la vecchia leadership; 3) una radicalità temperata da uno stile fattuale e moderato, sostenuta da una reputazione di correttezza personale prima che politica; 4) un contenitore politico unico. Le prime tre condizioni sono alla nostra portata, anche se non scontate. Inoltre, l’ostilità nei confronti dell’Europa da parte di Trump e di Putin, rende più evidente la necessità democratica di offrire a mezzo miliardo di persone, una rappresentanza unitaria. Manca la quarta condizione, quella di un partito di sinistra, per una paradossale moltiplicazione di contenitori in risposta a una presso che totale alienazione dell’opinione pubblica dalla forma-partito. Un primo passo nella direzione giusta potrebbe essere una campagna di massa, forse un referendum abrogativo, di ogni norma elettorale (di cui il legalicum vigente è dotato) che consenta ai partiti di nominare parlamentari. Nell’immediato, mentre discutiamo, impegniamoci perché Genova democratica, dopo aver imposto la resa all’esercito tedesco nel 1945, non debba arrendersi al postfascismo affarista di Salvini e della Meloni