Il Fatto 1.6.17
“Me la paghe-Rai”. La guerra di Viale Mazzini
di Silvia Truzzi
Gli
eventi delle ultime settimane confermano un sospetto che avevamo da
tempo: la mission del servizio pubblico è la campagna elettorale. E se
nelle trattative pre (per non dire di quelle post) voto ci scappa di
fare qualche favorino a Mediaset, poco male. Anzi. A meno di un mese
dalla presentazione dei palinsesti, la situazione interna a Viale
Mazzini è più che kafkiana. Il direttore generale è dimissionario,
dunque non è chiaro chi possa programmare i medesimi palinsesti. Renzi e
Berlusconi (“Fuori i partiti dalla Rai!”) si sarebbero accordati sul
nome di Paolo Del Brocco, attuale dg di Rai Cinema e dunque entro una
settimana ci sarà la nomina. Sarà coraggioso lui ad accettare perché nei
prossimi mesi, sul cadavere della Rai, si consumeranno guerre di ogni
tipo. E comunque, la nomina risolverà qualcosa? Non proprio. Il piano di
Antonio Campo Dall’Orto (che oggi dovrebbe formalizzare le dimissioni
in Cda) prevedeva una serie di parametri per sistemare una volta per
tutte la questione del tetto ai compensi degli artisti, che teneva conto
anche degli introiti pubblicitari delle trasmissioni. Così, casomai un
giorno Fiorello dovesse decidere di fare uno show su Rai1 o di
presentare Sanremo, si potrebbe offrigli qualcosa di più della gloria.
Qualche consigliere però non è d’accordo e vorrebbe un tetto generale
massimo (probabilmente 1 milione di euro, a prescindere per esempio da
quante ore di trasmissione uno fa).
Se si potesse usare la parola
populismo, lo faremmo. Siccome però ormai è come per fake news, cioè si
porta su qualunque mise, ne utilizzeremo un’altra meno fastidiosa:
cretinismo. Si sente parlare solo dei compensi dei volti Rai, in quanto
denaro pubblico. Se è questo il punto – e attenzione: giusto che ci si
ponga il problema di come vengono spesi i soldi della collettività –
deve valere per tutto. Le produzioni Rai sono anche cinema e fiction
(talvolta davvero di alto livello, come Montalbano). Quanto costano alla
Rai? Ha ragione Fabio Fazio quando dice che è inaccettabile essere
considerati “un costo” perché il sottotesto nemmeno troppo celato è
“rubi i soldi della comunità”. Se la televisione di Stato vuole stare
sul mercato, gli artisti che lavorano lì non possono guadagnare come un
operaio: è un’ovvietà. La Rai può anche decidere di trasformarsi in
qualcosa d’altro, e allora però tutto l’orizzonte dell’offerta deve
essere coerente (e quindi via la pubblicità, intanto). Senza dire che
non sono soltanto i compensi degli artisti Rai – già dimezzati rispetto a
quelli della concorrenza – a essere “soldi pubblici”. Forse è vero che
qualcuno se n’è approfittato, ma possiamo dire che l’affermazione non
riguarda anche gli stessi politici che sparano a zero sulla Rai? Quando
fa comodo è la prima industria culturale del Paese, altrimenti è il
paradiso dei mangia pane a tradimento. Quale credibilità ha una classe
politica che sragiona in questo modo? Davvero credono che qualcuno
caschi nel tranello dei “risparmi”? È giusto, specie in un momento di
crisi, che tutti coloro che lavorano nel settore pubblico a certi
livelli si pongano il problema morale degli sprechi. Ma allora: la
Presidenza del Consiglio aveva bisogno dell’aereo (l’Air force Renzi)
pagato 40 mila euro al giorno in leasing? E solo un esempio tra mille.
L’abbiamo già scritto: una Rai debole, senza centri decisionali
autonomi, fa comodo a chi pensa di giocarsi lì il prossimo giro di
giostra politico. Ma è un gioco pericoloso, specie se – come ha detto
Roberto Saviano di Renzi – a condurre sono persone “ossessionate dalla
Rai” ma che pretendono di apparire completamente disinteressate. “Me la
paghe-Rai” è il vero motto di Viale Mazzini, occhio che tanta solerzia
non si trasformi in un boomerang.