Il Fato 1.6.17
Il menu turistico delle Renzi-news
di Daniela Ranieri
Commentiamo
l’ultima trovata promozionale di Renzi consci che nel frattempo lui ne
starà partorendo un’altra, ancora più stupefacente, immaginifica,
totalitaria; un Facebook live, un #magliettegialle, una Candid Camera,
un’app che porta il suo nome o quello di un Kennedy morto: qualcosa che,
spera, possa restituirgli freschezza e visibilità. È ancora convinto
che qualcuno possa vederlo e pensare: “Ehi, questo giovane mi piace”.
Ieri,
in diretta dal Nazareno alle 9 in punto (c’è gente che ha messo la
sveglia), ha inaugurato su Facebook la rassegna stampa del Pd, “contro
la montagna di bufale e fake news, le pagliacciate, i trolls e le
finzioni”, che noi credevamo speacialità renziane, invece sono difetti
nostri sui quali lui vigilerà; un’inversione considerevole in
democrazia, dove di solito avviene il contrario. Del resto l’ha sempre
fatto, in Tv e dal palco della Leopolda, dove, con la trascinante
simpatia da animatore di villaggio vacanze che gli conosciamo, aizzò la
folla a votare “il peggior titolo di giornale” (che vincemmo noi del
Fatto, sia detto con modestia).
S’è messo dicevamo alle 9 spaccate
(alcuni hanno seguito la diretta sul bus, andando al lavoro) a elargire
censure o grazie: Repubblica è “uno dei quotidiani più autorevoli”, “Il
manifesto non è la mia prima lettura mattutina”, “Compimenti a Cerasa e
al Foglio”. Ora, qualunque persona sana di mente sa che una rassegna
stampa è credibile se a farla è qualcuno che non sia contestualmente
oggetto della stampa che si accinge a rassegnare. Persino un morto
proverebbe pudore ad aprire il giornale e a commentare i necrologi che
gli hanno dedicato.
Renzi no. Ex premier, ri-candidato premier,
lui è lì per riparare i torti subiti dalla stampa prima e dopo il 4
dicembre. Hai voglia a iniziare da un pezzo del Corriere sui bambini
soldato dell’Isis (“Hanno l’età di Francesco e Emanuele, i miei figli”),
come i leader con lo sguardo sul mondo. Dove va a parare, dove è il suo
baricentro, è sempre sé stesso e la sua presidenza sottratta, la sua
premiership in contumacia.
Eccolo, dietro a una scrivania da
start-up, camicia bianca da neo-liberista perdente, il piglio di chi ha
detto no alla stampa ostile. Non come Erdogan, ma web-democraticamente.
La Rete è il suo Generale Inverno: pensava di espugnarla con una
twittata, una direttuccia, un blogghetto; poi, la disfatta.
Così
da ieri ogni giorno alle 9 (chissà i soldi buttati in spin-doctoring per
chiamare la rubrica “Ore nove”), puntuale come una iniezione, dalla
splendida cornice del Nazareno è online la rassegna “fatta da un
dirigente del Pd” (c’è chi, sapendo che oggi c’era Martina, ha disdetto
le vacanze per non perdersene manco una).
Ma chissà che imbarazzo
proverà Renzi a leggere gli articoli che riportano diligentemente le
frasi di Renzi (inviate ai giornalisti organici la sera prima via
WhatsApp), uno di quei “Renzi ai suoi” che ormai fanno genere letterario
a sé, in un avvitamento di semiotica aberrante e di autoreferenzialità
da reparto psichiatrico. Ma serenissimo in fatto di stampa, Renzi ci
gira attorno stilando le sue notizie calde: Gianfranco Fini e la Raggi
(“vale sempre il garantismo”, e ci mancherebbe che per loro no e per
Lotti e Boschi sì). “C’è un sorcio che sale le scale del Campidoglio”,
notizia del Messaggero, noto osservatore neutrale della giunta Raggi (i
sorci a Roma prima non c’erano, li ha portati la Raggi, che li alleva
rendendoli assassini. Resta da capire come mai se il dottor Marino era
un anti-topo naturale, il Pd lo abbia sfiduciato dal notaio). Le fughe
di notizie: “Stiamo aspettando di sapere come è stato rivelato il
segreto d’ufficio su prove che potrebbero essere false tra i carabinieri
del Noe e la redazione del Fatto”, giammai sulla violazione del segreto
d’ufficio da parte dell’amico Lotti e dei carabinieri compagni di
braciate del babbo.
Insomma la rassegna non è che un menu
turistico di Renzilandia: fake news (“Noi abbiamo lasciato un
tesoretto”; “La disoccupazione giovanile l’abbiamo abbassata noi”); Bono
degli U2; la Apple; le Olimpiadi “grande metafora”; le elezioni in
Regno Unito, che lui chiama “Iu chei”; il referendum: “Volevamo un
sistema con meno politici e meno poltrone, l’unica che è saltata è la
mia”. Ormai va a memoria come i preti durante la messa. Lui sta alle
cialtronate come Claudio Magris sta alla Mitteleuropa. Lo statista che
ha iniziato la sua ascesa con una slealtà e l’ha chiusa con una promessa
tradita (cioè non l’ha chiusa), sul finale congiunge le mani, guarda la
telecamera con aria sognante: “Torneremo a abbracciarci” in un “lungo
tour che faremo in treno”, in questo “Paese meraviglioso” , e annuncia
la prossima scoppiettante avventura.
Dal 5 giugno, sarà in onda La
Terrazza con Marco Minniti. Tema: “La sicurezza è di sinistra?”, alla
quale seguirà un #matteorisponde sul tema se sia giusto lasciare alla
destra la bonifica dell’Agro Pontino.