Il Fatt 14.6.17
Lampedusa, il pd liquida l’accoglienza
di Daniela Ranieri
Il
popolo democratico ventoteniano accogliente terzomondista e obamiano,
come da copione leopoldo, vibrava ancora dall’emozione di Fuocoammare
vincitore a Berlino quando è arrivata la doccia fredda. Giusi Nicolini,
sindaca di Lampedusa ormai per antonomasia, “salvatrice di vite” per
l’Unesco e brand della “poesia dell’accoglienza” per Matteo Renzi, non
ce l’ha fatta. Ha perso in casa sua contro la lista “Susemuni”
(“Alziamoci”, a significare che con lei gli isolani erano riversi o
bocconi), creata non da un leghista xenofobo, ma da un ex sindaco di
Lampedusa di centrosinistra dal nome da suonatore di pianobar su una
nave da crociera americana: Totò Martello.
Questo Totò Martello, che
nel profilo Facebook appare col sole in faccia, la sciarpa al collo e il
sigaro in mano, secondo le cronache è “amico dei pescatori”,
proprietario di alberghi lampedusiani e gestore di un circolo del Pd,
uno dei due sull’isola, dove l’altro fa capo al marito di Nicolini. Per
noi che seguiamo il Twitter di @matteorenzi, e da tre anni retwittiamo
le foto che lo ritraggono insieme alla sindaca mentre osservano entrambi
il tramonto da uno scoglio, è stato un trauma. Per i lampedusani,
aizzati da Totò Martello, un po’ meno. Sull’isola, Nicolini, candidata
al Nobel per la Pace dal pidino Ermete Realacci, era “una ladra di
medaglie”, una che badava più alla sua immagine che al benessere degli
isolani, e Totò Martello ha meditato la sua rivincita sguarnito di
storytelling (per 5 anni ha usato Facebook solo per scrivere
“Buongiorno”, “Buonanotte” e “Buona Pasqua a tutti”) ma con l’orecchio a
terra. E ha capito quel che Nicolini s’è fatta sfuggire nella rapinosa
voluttà antropofagica di Matteo.
Così questa storia che pare un
canovaccio camilleriano mostra in controluce la filigrana della
narrazione renzista. Tutto quel che Renzi tocca, e tanto più quel che
costruisce sopra alle persone per suo comodo, si scioglie al sole come
il gelato Grom della gag nel cortile di Palazzo Chigi. Così nel marzo
dell’anno scorso Matteo “raccontava” l’isola di Giusi Nicolini, che
intanto diventava l’isola di Totò Martello: “Lampedusa, cuore d’Europa.
Ho scelto di passare qui questo venerdì speciale, accolto da
@giusi_nicolini e da una comunità bellissima”. Un mese prima non si
faceva scappare gli allori italici: “Berlino premia Gianfranco Rosi, il
suo talento e la poesia dell’accoglienza #Fuocoammare #orgoglio”. E poco
dopo ribadiva: “Spero che #Fuocoammare vinca l’Oscar. Grazie
#Lampedusa” (per chi avesse dubbi, Fuocoammare non vinse). Seguirono i
giorni dell’epica: ben “quattro donne ‘simbolo dell’eccellenza italiana’
accompagneranno il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla Casa
Bianca per la cena ufficiale con il presidente degli Stati Uniti Barack
Obama” (così Ansa l’ottobre scorso, con toni da agenzia Stefani). Come
nelle corti del ‘500, quando i sovrani si facevano visita portandosi
dietro musici, teatranti, ritrattisti, eruditi, cuochi e danzatori,
Renzi con sé – a ornamento della sua gloria – portava due premi Oscar,
uno stilista, un campione dell’Anticorruzione e, appunto, un poker di
donne (come nell’Urss delle astronaute): l’atleta, la scienziata,
l’architetta e la sindaca. Giusi Nicolini fu un colpaccio, spendibile
negli Usa anti-Trump al pari del parmesan, simbolo degli italiani brava
gente che vincono i premi ripescando la gente in mare (e chissà se Renzi
se l’è rivenduta pure alla cena con Obama a Borgo Finocchietto, menù di
Luca Bottura: cinque stagionature di parmigiano e dessert a base di
fiori).
Erano i giorni della Speranza contro la Paura, dell’Amore che
vince sull’Odio. Si favoleggiava di #Italiariparte e si copiava quel
che faceva Papa Francesco, che a Lampedusa andò nel 2013 e, con gesto
appena un po’ retorico, bevve da un calice ricavato dal legno dei
barconi. Si mandava Franceschini sull’isola a inaugurare il “Museo della
fiducia e del dialogo per il Mediterraneo”; così come una settimana fa
si mandava il ministro dello Sport Luca Lotti a “sostenere una grande
donna e una brava sindaca” con la scusa di inaugurare un campo di
calcio. Ebbene, Nicolini ha perso, con 908 voti contro i quasi 1600 di
Totò Martello, avendo contro mezzo Pd locale e pure Pietro Bartolo,
medico eroe di Fuocoammare e quindi ovviamente star dell’ultima
Leopolda, dove Matteo lo abbracciò mostrandosi commosso.
Renzi – che
s’è guardato bene dal promuovere le primarie sull’isola – l’ha liquidata
su Fb: “Ieri Giusi ha perso a Lampedusa, succede… Ma la qualità dei
rapporti umani (come si sa, il suo forte, ndr) non viene mai meno.
Grazie Giusi… Lavoreremo ancora nel Pd, avanti, insieme”. Noi le diremmo
di scappare, indietro e da sola, perché per quanto ci piaccia Totò
Martello, con quel nome da parrucchiere del New Jersey, la nostra
solidarietà va lei, che ad aprile, benché tardi, aveva capito tutto: “Il
Pd non è con me. Sull’isola ha un altro candidato”.