Corriere 9.6.17
Il sorriso dei cecchini
Da Fanfani ai 101 di Prodi Anatomia del cecchino che si esalta demolendo
di Pierluigi Battista
Una giornata come ieri, con la legge elettorale affondata, è il massimo per un cecchino: la goduria del franco tiratore.
Il
trionfo del franco tiratore è quando sente che ci sono tanti franchi
tiratori insieme a lui: un cecchino, alla fine muore, ma tanti cecchini
determinano le sorti di una battaglia. Senza appalesarsi,
galvanizzandosi nel segreto, nella manovra nascosta, nelle trame
invisibili. Che poi, quando vanno a segno, come è accaduto ieri con la
legge elettorale, sono il massimo della soddisfazione: l’immensa goduria
del franco tiratore.
La goduria di quell’anonimo poeta che in
rima vergò la sua scheda demolitrice contro Amintore Fanfani candidato
al Quirinale nel 1971: «Nano maledetto, non sarai mai eletto». E non fu
eletto. Uno dei tanti candidati democristiani alla presidenza della
Repubblica caduti sotto i colpi micidiali dei franchi tiratori che nelle
elezioni a scrutinio segreto si esaltano, si insinuano nel gioco delle
correnti con una raffinatezza programmatica che soltanto i più esperti
giocatori di biliardo sanno decifrare. Esiste tutta una letteratura sul
trionfo del franco tiratore che fa perdere il Quirinale al presunto
predestinato. C’è l’elezione del primo presidente della Repubblica che
Alcide De Gasperi avrebbe voluto che fosse Carlos Sforza, che però era
considerato un massone e un libertino dall’austera sinistra dossettiana e
finì straziato dai cecchini: e arrivò Luigi Einaudi. Poi fu il turno
dell’impallinamento via franco tiratore di Giovanni Leone nel ’64, che
però si rifece nel ’71 battendo il favorito Fanfani, che ci rimase assai
male. Poi i fasti e le tragedie del 1992 quando bisognava votare il
sostituto di Francesco Cossiga in un clima intossicato tra Tangentopoli
che stava inabissando il sistema della Prima Repubblica e l’offensiva
stragista della mafia. Per Arnaldo Forlani, massacrato dai franchi
tiratori, fu un’agonia politica. Il nome di Giulio Andreotti aleggiava
come un falchetto sull’aula dove erano riuniti i grande elettori per il
Quirinale ma la strage di Capaci sconvolse tutti i giochi e alla fine il
nome prescelto fu quello di Oscar Luigi Scalfaro, malgrado gli sforzi
di Giovanni Spadolini.
I franchi tiratori erano l’incubo della
Prima Repubblica. O meglio, erano l’incubo di chi ne subiva il
cecchinaggio, ma era un grande sfogo per chi nel segreto dell’urna
destabilizzava, distruggeva, manovrava, disintegrava sogni e ambizioni.
Ma non è che nella Seconda, di Repubblica, i franchi tiratori non
abbiano avuto i loro momenti di gloria. Per esempio, nel 2008 quando
bisognava eleggere il presidente del Senato dopo la risicatissima ma
proprio risicatissima vittoria del centrosinistra di Prodi, sul nome di
Franco Marini (per lui non sarà l’ultima volta nel mirino del franco
tiratore) si accese una battaglia molto complicata per cui i seguaci di
Clemente Mastella nel segreto dell’urna, sotto il catafalco in cui i
senatori dovevano apporre il loro voto, decisero di scrivere sulla
scheda «Marini Francesco» che era un modo bizantino per annullare e
mandare un segnale a chi di dovere. Poi i «Marini Francesco» divennero
«Marini Franco» e la manovra del franco tiratore ebbe fine e
soddisfazione. Poi venne il giorno, nell’aprile del ’93, del
respingimento segreto dell’autorizzazione a procedere contro Bettino
Craxi, e la sera stessa il popolo dei forcaioli si radunò sotto
l’albergo Raphael, quartier generale socialista, per colpire con le
monetine chi era stato salvato dal Parlamento. Proprio quel Craxi che
aveva combattuto epiche battaglie per riformare i regolamenti
parlamentari e ridurre le occasioni del voto segreto, anticamera di
accordi consociativi inconfessabili con il Pci. Da allora, da quello
scrutinio pro-Craxi, e senza quelle fastidiose lucette verdi e rosse che
dicono troppo su chi vota per cosa, i voti per le autorizzazioni
all’arresto di parlamentari sono rimasti le occasioni più ghiotte per
gli accordi e le manovre invisibili. Ma poco prima, nel primo atto
ufficiale del neonato Pds nato sulle ceneri del Pci, alla fine del
gennaio 1991 a Rimini il voto segreto dei franchi tiratori colpì con
durezza Achille Occhetto che non fu eletto subito segretario del
partito. Per poi arrivare, nel 2013, alla grande sagra del franco
tiratore che riunito in un esercito di 101 cecchini del Pd, sbarrò la
strada del Quirinale a Romano Prodi, dopo aver anche seppellito nei
giorni precedenti le ambizioni presidenziali di Franco (con Francesco)
Marini. Il franco tiratore si acquatta, scompare ma mai del tutto. Nel
segreto dell’urna, del resto, nessuno può vedere. Solo il capocorrente
sì.