Corriere 7.6.17
Un buon sistema elettorale deve favorire convergenze
di Valerio Onida
Caro
direttore, nel dibattito in corso sulla nuova legge elettorale
prevalgono le analisi e i ragionamenti sul cui prodest?, cioè sui
possibili vantaggi e svantaggi che ciascuna forza politica in campo si
attende da ciascuno dei vari sistemi proposti, e quindi sulle prognosi
circa le posizioni che esse potranno verosimilmente adottare in
Parlamento per avere i vantaggi o per evitare gli svantaggi; oppure le
prese di posizione motivate dagli effetti (di stabilità o di
instabilità) e dai rischi (di prevalenza di questa o di quella forza
politica) che ogni sistema si pensa possa presentare.
Vorrei
provare per una volta a tracciare un’analisi diversa, che prenda le
mosse dalla considerazione dei caratteri dell’attuale sistema politico
italiano e dalle prospettive della sua evoluzione, tenendo conto dei
dati prognostici ricavati dagli assidui sondaggi di opinione, ma anche
dei possibili e desiderabili mutamenti negli schieramenti politici e
nelle conseguenti scelte degli elettori.
Premesso che, come ha
detto anche la Corte costituzionale, un «buon» sistema elettorale deve
assicurare la rappresentatività delle assemblee e favorire o comunque
non ostacolare la formazione in esse di maggioranze (la cosiddetta
«governabilità»), la prima constatazione è che l’attuale sistema
politico non è così definito e consolidato da escludere, pure a breve
termine, che esso possa evolversi anche in modo significativo. E
possiamo domandarci quali cambiamenti rispondano, più e prima che
all’interesse di questa o di quella parte politica, a una esigenza di
maggiore chiarezza e quindi anche, potenzialmente, di maggiore
efficienza del sistema. Naturalmente ognuno legittimamente pensa che
giovi al Paese soprattutto o solo la crescita o la vittoria della forza
che predilige. Ma forse è necessario anche rappresentarsi quali
cambiamenti relativamente alle altre forze politiche, concorrenti o
avversarie, siano suscettibili di giovare a rendere il quadro politico
più chiaro, e le scelte degli elettori più consapevoli ed efficaci.
Si
dice che siamo in un sistema politico ormai caratterizzato da tre
«poli» di peso quasi equivalente (Pd, centrodestra e Movimento 5
Stelle). Ma forse c’è qualcosa in più che si sta manifestando o potrebbe
manifestarsi a proposito di ognuno di questi tre «poli».
In
concreto: il Pd ha difficoltà a rapportarsi con forze alla propria
sinistra, e con alcune sembra escludere a priori — ricambiato — di
potersi mai unire in una maggioranza. Gli elementi che lo dividono dai
potenziali alleati di sinistra attengono non tanto alla posizione sui
temi europei quanto alle politiche fiscali e del lavoro, e soprattutto
fanno capo a «storici» contrasti o dissapori nell’ambito del
centrosinistra. Il centrodestra è ormai manifestamente e nettamente
diviso in due schieramenti di peso oggi pressoché equivalente, quello
che fa capo alle posizioni «lepeniste» e xenofobe della Lega di Salvini e
quello di una destra «moderata» che esclude defezioni dell’Italia dal
contesto dell’integrazione europea, e che, in prospettiva, potrebbe
anche essere suscettibile di saldarsi con la galassia «centrista» ora
polverizzata. Il Movimento 5 Stelle appare per più versi ambiguo nei
contenuti, anche sul tema europeo (emblematico l’acrobatico tentativo,
nel Parlamento europeo, di passare da un gruppo fra i più antieuropeisti
al gruppo schiettamente europeista dei liberali), e rifiuta a priori la
prospettiva di alleanze.
Possiamo allora domandarci: alla
chiarezza politica e agli interessi generali del Paese giova più una
evoluzione che scavi un solco definitivo fra il Pd e le altre forze di
sinistra (almeno quelle «europee»), o una che favorisca la formazione di
una eventuale alleanza di centrosinistra, sia pure caratterizzata da
pluralismo di posizioni su alcuni temi? Giova più una evoluzione in cui
le due aree del centrodestra siano indotte a restare comunque unite, o
una in cui si realizzi definitivamente il distacco della destra
«lepenista» dalla destra moderata, con cui potrebbe convergere anche la
galassia centrista? Giova più una prospettiva che consolidi
l’atteggiamento «esclusivista» dei 5 Stelle («o con noi o contro di
noi») o una che favorisca magari la disponibilità del Movimento, in
futuro, a discutere, alla pari e senza troppe pregiudiziali, di
possibili programmi di governo, sciogliendo almeno in parte le attuali
ambiguità?
Non avrei dubbi a rispondere, a ognuno di questi
dilemmi, che la seconda è la prospettiva migliore per il futuro del
Paese. Se è così, dovremmo auspicare che il sistema elettorale sia tale
da favorire, in ognuno dei «campi», l’evoluzione più favorevole. E
dunque: un sistema elettorale che non induca il Pd a isolarsi dalla
sinistra ma lasci aperta la porta a convergenze programmatiche (anche
post-elettorali, alla luce degli effettivi rapporti di forza) con altre
forze o future forze di sinistra «europea»; un sistema che non induca la
destra moderata a confondersi con quella lepenista ma faccia emergere
chiaramente le due diverse prospettive programmatiche; un sistema che in
prospettiva favorisca un atteggiamento meno «solipsista» e più
collaborativo del Movimento 5 Stelle. Sono tre prospettive rispetto alle
quali le possibili scelte del sistema elettorale non solo non sono
divaricate, ma convergono.
Un sistema «ipermaggioritario» (come
era quello dell’Italicum), o anche di collegi uninominali, ma
strettamente legati a una scelta «secca» di lista, senza voto disgiunto,
rischierebbe di andare in senso contrario: favorendo l’isolamento del
Pd; inducendo l’alleanza coatta fra le due parti del centrodestra,
sterilizzando inoltre l’apporto della «galassia» centrista; esaltando
l’«autosufficienza» del Movimento 5 Stelle. Un sistema invece che
consenta e faciliti l’espressione chiara delle diverse posizioni
programmatiche, e convergenze programmatiche reali (anche post
elettorali) fra le forze più affini; che consenta di misurare le reali
distanze fra le varie forze e l’effettiva consistenza di quelle che
rifiutano la prospettiva europea, e scoraggi, attraverso ragionevoli
soglie di sbarramento, l’eccesso di frammentazione, potrebbe facilitare
anche la formazione di maggioranze coerenti nell’ambito di un Parlamento
adeguatamente rappresentativo. Poi, quello che decide è comunque il
voto, a seguito del quale soltanto potranno definirsi i rapporti fra le
diverse aree, senza poter naturalmente escludere che risultino
necessarie anche convergenze più ampie a cavallo delle stesse o di
alcune di esse: che, se realizzate su programmi espliciti e contrattati,
non necessariamente si dovrebbero tradurre in convivenze rissose in cui
sia impedita ogni decisione. In ogni caso, si favorirebbe l’evoluzione
di questo sistema politico verso prospettive più chiare che non quelle
di una permanente guerra senza quartiere di tutti contro tutti,
combattuta cercando di raccogliere con ogni mezzo e a ogni costo un voto
in più, per poi spenderlo nella continuazione della stessa guerra.