Corriere 19.6.17
Catastrofi e destino nel paese fiammifero
di Emanuele Trevi
Chiunque
viaggi in macchina in Portogallo durante i mesi caldi, potrà farne
esperienza diretta: la frequenza degli incendi, in questa terra, è
qualcosa che si impone con prepotenza all’attenzione. Noi mediterranei
lo sappiamo bene: quando l’erba diventa gialla, e l’ultima pioggia è un
ricordo lontano, la sensazione è quella di camminare su un fiammifero.
Ma di questo fiammifero il Portogallo è come la capocchia intinta nello
zolfo.
Ricordo un lungo viaggio nell’Alentejo, sulle tracce
segnate da un bellissimo libro di Saramago, in cui sembrava che un unico
incendio, come un dèmone diffidente che avesse deciso di controllare il
nostro itinerario, ci seguiva passo passo, bloccando di giorno le
strade con il suo fumo torrido e violaceo, e sistemandosi per la notte
sul fianco di una collina, dove consumava il suo pasto di alberi e
pascoli. Interi paesi vivevano per settimane con il fiato sospeso per
un’antica e venerabile foresta di querce da sughero, per le viti, gli
uliveti.
Un semplice insieme di circostanze può creare le
impressioni e i ricordi più arbitrari su un luogo, ma il caso della
combustibilità del Portogallo, così sconcertante, è confermato da dati e
statistiche. La Nasa ha segnalato che, di tutti gli ettari di terreno
carbonizzati da incendi nel corso del 2016 nei Paesi dell’Unione
Europea, oltre la metà apparteneva al Portogallo, fatto strano di per
sé, e ancora più notevole se si riflette sulle dimensioni abbastanza
ridotte del Paese.
Tutti i fenomeni suscitano teorie e spiegazioni
più o meno plausibili. Ma nella scienza degli incendi la malignità e la
stupidità degli uomini giocano lo stesso ruolo dei fenomeni più
naturali, come il fulmine che si è abbattuto, a quanto pare, su un
singolo albero della foresta di Pedrógão Grande. Difficile, tra tanti
fattori così diversi, tirare fuori una teoria credibile. Nemmeno il più
ambizioso romanziere o regista del genere paranoico-apocalittico
potrebbe venire a capo di un tale guazzabuglio di casi.
Non si può
dimenticare che anche la storia di Lisbona è stata segnata da due
incendi che ne hanno letteralmente plasmato la storia e la fisionomia.
Il terremoto del 1755 fu uno dei più disastrosi mai registrati nella
storia umana, ma nel giro di pochi giorni l’incendio che finì per
consumare quasi tutta la città fece molti più danni e vittime delle
distruzioni del sisma.
A partire da Voltaire, tutti i grandi
spiriti dell’Illuminismo fecero della catastrofe di Lisbona, città
cattolicissima e capitale di un grande impero, il banco d’accusa di
un’idea provvidenziale della vita dell’uomo nel mondo crudelmente
smentita dall’evidenza dei fatti. Non c’è forse un evento della storia
umana che ebbe riflessi simultanei così importanti nella storia della
filosofia e in quella dell’urbanistica. Il pensiero moderno affilava i
suoi denti mentre gli architetti e gli ingegneri del marchese di Pombal
riedificavano la splendida città affacciata sull’Atlantico.
L’altro
grande incendio, quello che rese al suolo la zona del Chiado
nell’agosto del 1988, non diventò un nuovo simbolo del pessimismo
filosofico. Semmai, distrusse un’infinità di memorie, in quel cuore
della città vecchia che ancora sopravvive, nitido come un’allucinazione e
inafferrabile come un sogno, in tante pagine del Libro
dell’inquietudine di Fernando Pessoa. Come in uno spietato regolamento
dei conti tramato nei secoli, a cadere nell’incendio del 1988 fu anche
la più antica casa di Lisbona, l’unica sopravvissuta all’apocalisse del
1755.
Ci sono circostanze nella vita dei popoli che ripetendosi
nel tempo sono capaci di suggerire come l’immagine arcana e
incomprensibile del destino. Cercando in Internet gli ultimi avvenimenti
sull’incendio di Pedrógão Grande, può capitare di imbattersi in una
notizia non più fresca, ma abbastanza recente: nel dicembre del 2015 è
andato a fuoco, in Brasile, un grande museo della lingua portoghese, che
ospitava libri e preziosi manoscritti.
Chissà cosa avrebbe avuto
da dire Antonio Tabucchi, su questa striscia di fuoco che sembra
percorrere ostinata e vorace la storia portoghese. Durante uno di questi
sbalorditivi picchi estivi di incendi scrisse un reportage: parlava
della caligine nera e violacea che riempie il cielo anche a centinaia di
chilometri di distanza, dei volti preoccupati fissi sulla televisione
nei bar dei paesi. Nemmeno un’occasione così poco propizia gli impedì di
esprimere il suo contagioso amore per quella che era diventata la sua
patria d’elezione.