Corriere 15.6.17
Prodi
«Io pensionato felice, non candidato premier»
di Monica Guerzoni
Prodi
dopo l’auspicio di Pisapia: con il passato non si salva il presente.
Renzi: nomi? Alleanze sui contenuti Manovra, Mdp non vota ma Campo
progressista dice sì. Bilancio dem in rosso di 9 milioni per il
referendum
ROMA Se non gli dispiace essere tirato per la giacca è
per quella «umana vanità» che lui stesso si riconosce. Ma a Palazzo
Chigi, giura, Romano Prodi non intende tornarci: «Non farò il candidato
premier». Salendo lo scalone del magnifico palazzo di via Caetani che
ospita il Centro studi americani — col passo di uno che, a giorni
alterni, macina dieci chilometri di corsa — l’ex premier lo ripete due
volte: «No, non lo faccio. Non mi vedrete a Palazzo Chigi». In una mano
stringe il suo ultimo libro, Il piano inclinato e nell’altra un
ramoscello d’ulivo, di cui gli ha fatto omaggio una giornalista tv. Gli
chiedono se quelle foglioline simbolo dell’unità del centrosinistra lo
emozionino ancora e il prof, con un sorriso dei suoi: «No!». Il perché
lo aveva spiegato al mattino con una battuta, confidando che «con il
passato non si salva il presente».
Il padrone di casa Paolo Messa
richiama tutti all’ordine e però i giornalisti non mollano. Il 1° luglio
sarà in piazza con Giuliano Pisapia? «Vedremo, non ne so niente, mi
sono fermato, non parlo più di politica italiana». Non sa che l’ex
sindaco di Milano, come Bersani, la ritiene l’unico in grado di federare
il centrosinistra? «Non è vero, non sono l’unico possibile, chi lo
pensa sbaglia». Non le dispiace essere tirato per la giacca? «La vanità
ha un suo scopo. E poi vedrete, fra due-tre giorni smettono di tirare...
Io sono un pensionato, un felice pensionato».
La moglie Flavia
resta un passo indietro, Romano sorride e stringe mani. Gli chiedono se
il libro non sia un programma di governo: «Mi piacerebbe che fosse un
piano di governo e che qualcuno lo potesse applicare. Ma non io».
L’ultima domanda è sui leader del centrosinistra, sul se e sul come
Renzi, Pisapia, Bersani, Speranza, D’Alema e Fratoianni riusciranno a
mettersi insieme: «Chi sarà in grado di unire il centrosinistra? Nessun
problema, si uniscono da soli».
E mentre il fondatore si tira
fuori, il centrosinistra si spacca ancor prima di unirsi. Mdp non voterà
la fiducia al governo sulla manovrina per non dare il via libera ai
voucher. Invece sei senatori vicini a Pisapia — Bencini, Molinari,
Orellana, Romani, Stefano, Uras — confermano la fiducia a Gentiloni per
non tagliare i ponti con il Pd di Renzi, «solido alleato in difficili
prove di governo che abbiamo affrontato positivamente in regioni e
città».
Una mano tesa a Renzi, il quale però non la stringe.
Intervistato a «Otto e Mezzo», su La7, il leader dem prende distanze
dalla manifestazione di Pisapia in piazza Santi Apostoli: «Il 1° luglio
sono al concerto di Vasco Rossi. Da Pisapia non vado perché non sono
stato invitato all’iniziativa di un altro partito». E spiega: «Alleanze
sui contenuti, non sui nomi». Il gioco dei veti incrociati continua.
Renzi nega di averne mai posti, per lui «Bersani e altri se ne sono
andati per non fare le primarie». La replica del leader di Mdp non è una
porta aperta. Al Pd Bersani chiede «solo un programma chiaro, che sia
in discontinuità con le leggi di Renzi: «Non può essere lui il
testimonial». Infine un avviso ai compagni di viaggio: «Il 1° luglio
parte il treno ed è l’ultima chiamata per il centrosinistra».
E
ieri la direzione del Pd si è riunita per approvare il bilancio. O
meglio, quello che l’ Huff post chiama il «disastro finanziario» del
Nazareno. Nove milioni di buco per le spese della campagna referendaria.
Ma il tesoriere Bonifazi è tranquillo: «Il piano di rientro c’è».