Corriere 14.6.17
Uccisa dal marito dopo 12 denunce «Colpa dei pm»
di Giusi Fasano
Denunciò
il marito per dodici volte. Ma non servì a niente. Il coniuge la
uccise. Adesso una sentenza ha riconosciuto la negligenza dei giudici e
condannato lo Stato a risarcire con 300 mila euro l’uomo che si era
preso cura dei figli della donna. Saverio Nolfo nell’ottobre 2007 aveva
assassinato Marianna Manduca, 32 anni, a Palagonia, nel Catanese, e
ferito anche il padre della moglie.
Se avessero perquisito casa sua... Se avessero sequestrato il coltello... Se lo avessero indagato, ricoverato, arrestato....
E
invece niente. I magistrati della procura della Repubblica di
Caltagirone «nel non disporre nessun atto di indagine rispetto ai fatti
denunciati e nel non adottare nessuna misura per neutralizzare la
pericolosità di Saverio Nolfo, hanno commesso una grave violazione di
legge con negligenza inescusabile». Marianna Manduca, 32 anni, aveva
implorato aiuto per sé e per i suoi tre bimbi. Aveva chiesto
disperatamente protezione al sistema Giustizia. Per dodici volte aveva
firmato querele contro quel marito violento e poco prima di essere
ammazzata a coltellate — fu il 3 ottobre del 2007 — aveva perfino
descritto in una denuncia il tipo di coltello a scatto che lui le aveva
mostrato e con il quale l’avrebbe uccisa, come poi ha fatto davvero.
Eppure
nessuno ha fermato la furia omicida di un uomo che mille e mille volte
l’aveva umiliata, picchiata, insultata, minacciata davanti ai suoi tre
bimbi o a testimoni vari: si sentiva forte, impunito, aveva problemi con
la droga ed era determinato a eliminare la donna che aveva osato
abbandonarlo a se stesso.
Quella mattina di ottobre di dieci anni fa
Marianna era per strada assieme a suo padre. Saverio uccise lei
colpendola più volte e ferì il padre. Fu poi arrestato e condannato a 21
anni di reclusione.
«Com’è possibile che succeda una cosa del genere
e nessuno sia responsabile per non averla aiutata?» chiese anni dopo il
padre adottivo dei suoi bambini (un cugino della vittima) agli avvocati
Alfredo Galasso e Licia D’Amico. Fu da quella domanda che partì la
causa civile per avere il risarcimento dei danni dallo Stato che avrebbe
dovuto proteggerla e che invece ha agito con «negligenza inescusabile»,
come dice la sentenza appena depositata.
Il tribunale civile di
Messina ha condannato la presidenza del Consiglio dei ministri a pagare
circa 300 mila euro di danni ai figli della vittima e all’uomo che tre
giorni dopo l’omicidio decise — senza averli mai conosciuti prima — di
prendersi cura di quei tre bimbi. Lui si chiama Carmelo, è un
imprenditore edile e vive nelle Marche. Quando Marianna fu uccisa era
già padre di tre bambini. Racconta adesso che «era sconvolgente pensare a
quei tre piccoli che nessuno voleva. Sarebbero finiti in mezzo alla
strada. Così io e mia moglie ci siamo tuffati a pesce in questa storia. I
bambini sono stati spettacolari in tutto, bravissimi. Oggi sono
ragazzini felici, tutti maschi: sei fratelli da 12 a 20 anni che ci
insegnano a vivere emozioni ogni giorno. Ricordo le loro facce quando è
arrivata la certezza scritta che sarebbero rimasti con noi per sempre,
che avrebbero portato il mio cognome... È stato bellissimo vedere nei
loro occhi la serenità di chi non teme più di essere strappato via dalla
famiglia».
Della loro mamma hanno un ricordo sepolto dal tempo,
sbiadito. Sono andati a trovarla una volta sola al cimitero ed è stata
anche l’unica volta che hanno rimesso piede in Sicilia. Il risarcimento
definito da questa sentenza (ci sarà presto un ricorso in appello perché
venga liquidato anche il danno morale) servirà a garantire a tutti un
futuro economico più tranquillo «dato che assieme a loro tre è arrivata
anche la grande crisi — spiega Carmelo — e non è stato per niente
facile». Ma, com’è ovvio, l’importanza di questa decisione non è la
cifra stabilita dai giudici ma il fatto che lo Stato paghi per
«l’inerzia delle autorità» che avrebbero invece dovuto darsi da fare per
aiutare Marianna. A cominciare dai pubblici ministeri della procura di
Caltagirone, contro i quali i condannati potranno ora rivalersi.
Giusi Fasano