Repubblica 29.5.17
La benedizione grillina al patto del Nazareno
di Massimo Giannini
NEGATE,
temute, e alla fine volute, ecco le elezioni anticipate. Sull’accordo
già blindato tra Renzi e Berlusconi arriva adesso la sorprendente
benedizione di Beppe Grillo sul modello proporzionale tedesco, che apre
la via al voto in autunno. Eccolo, dunque, l’approdo. Dopo tre anni di
inutile pellegrinaggio tra vocazioni maggioritarie e Italicum,
democrazie “decidenti” e premierati forti.
LA Generazione Telemaco
della “nuova politica”, quella che doveva “uccidere il padre” e
rottamare il vecchio, torna nel luogo dove tutto era cominciato, e dal
quale forse non se n’era mai andata. Il Nazareno. E al Nazareno, inteso
appunto come Patto, ha la pretesa di riportare quel che resta della
sinistra italiana. Ancora una volta smarrita, confusa, divisa. Incapace
di produrre una qualunque alternativa, se non quella di abbracciare un
Caimano per resistere a un Grillo.
L’accordo Renzi-Berlusconi,
alla luce delle parole del segretario del Pd al Messaggero, è ormai cosa
fatta. Con la scusa che “lo chiede Mattarella”, l’ex premier e l’ex
Cavaliere sono pronti a fare quello che pareva chiaro dal giorno dopo la
Caporetto sul referendum costituzionale, e che solo i ciechi, gli
ipocriti o le anime belle si erano rifiutati di comprendere. Un’intesa
sulla riforma elettorale, poi sulle elezioni anticipate, e infine sulla
prospettiva di una Grosse Koalition all’italiana.
Come dice
Roberto Saviano del Ventennio Berlusconiano, con la “svolta nazarena”
tutto è dimenticato, tutto è perdonato. Ed è vero che è “uno scandalo”
una politica che a pochi mesi dalla scadenza della legislatura
costruisce meccanismi elettorali tagliati a misura dei propri bisogni.
Ma così è, purtroppo. Ormai da almeno dodici anni, quando a questo “uso
privato” delle istituzioni e delle Costituzioni ci abituò il disastroso
Porcellum voluto dal Polo della destra per non far vincere l’Unione di
Prodi. Anche il sì di Grillo fa parte della svolta. Ma il furbo via
libera del capocomico al sistema proporzionale tedesco, attraverso la
solita farsa del clic tra gli attivisti della Rete, è tutt’altro che
disinteressato. Per Pd e Forza Italia risolve il problema dei numeri al
Senato, che altrimenti sarebbero mancati, e che invece adesso ci saranno
grazie ai pentastellati. Ma per il Movimento è manna dal cielo: gli
consentirà di lucrare dividendi incalcolabili in una campagna elettorale
tutta giocata contro il “Renzusconi” dell’inciucio neo-consociativo.
Ci
sarà ancora qualche dettaglio tecnico da mettere a punto. Per esempio
la soglia di sbarramento. Ma la strada è già aperta, da almeno due casi
paradigmatici di queste ultime ore. Il primo caso è la sfiducia
bipartisan a Campo Dall’Orto in consiglio d’amministrazione Rai: un
“ribaltone” che ha ragioni tuttora imprecisate, se non quelle legate
all’urgenza di avere un servizio pubblico televisivo ancora più
malleabile e controllabile in campagna elettorale. Renzi nega, e porta
come prova il fatto che il consigliere che lui conosce «meglio nel cda è
Guelfo Guelfi, l’unico ad aver votato a favore del piano di Campo
Dall’Orto». Tesi tartufesca, e facilmente controvertibile: più che una
prova a discapito, il voto di Guelfi (difforme da quello degli altri
consiglieri pd) sembra la smoking gun sul siluramento del direttore
generale.
Il secondo caso è il ripristino dei voucher, sia pure
con una formula “geneticamente modificata”. L’emendamento che
reintroduce i buoni lavoro passa proprio grazie alla stampella azzurra
del Cavaliere, perché nel frattempo viene meno la stampella rossa non
solo dell’Mdp di Bersani, ma anche dei dissidenti di Orlando. Anche su
questo Renzi ha una sua versione. La norma sui voucher ci sarà perché
«abbiamo fatto quello che il ministro Finocchiaro ci ha chiesto di
fare». Tesi pilatesca, e palesemente in-credibile: Gentiloni non avrebbe
mai preso un’iniziativa autonoma, su un tema “sensibile” per la
sinistra come i buoni lavoro. Ad annunciare l’emendamento in Commissione
è stato il capogruppo dem Rosato. E su quello, poi, il governo ha
dovuto convergere. È una forzatura della quale obiettivamente non si
sentiva alcun bisogno. Sia per ragioni di metodo: i voucher erano stati
appena abrogati per decreto proprio per evitare il referendum chiesto a
tutta forza dai sindacati. Sia per ragioni di merito: i voucher non
hanno risolto la piaga del lavoro nero (ormai superiore ai 100 miliardi
l’anno) e non hanno offerto nessuna tutela contributiva a quel milione e
600 mila precari che ne hanno “beneficiato” (dovrebbero lavorare fino a
75 anni per avere una pensione da 208 euro al mese).
Dunque,
anche questa mossa non nasce per caso. Non nasce a Palazzo Chigi. Nasce a
Largo del Nazareno. E si inquadra nello stesso percorso che potrebbe
portarci, in sequenza, al sistema tedesco, alla caduta di Gentiloni, al
voto in autunno e alla Grande Coalizione. Non siamo più in presenza di
un’episodica geometria variabile (che talvolta in Parlamento può
capitare) ma di un’autentica mutazione della maggioranza (che stavolta
il Quirinale deve valutare). Tutti i soggetti in campo non possono non
esserne consapevoli. Se vanno avanti lo stesso, vuol dire nella migliore
delle ipotesi che hanno accettato il rischio, nella peggiore che hanno
concordato l’esito. E l’esito, ancora una volta, è quello ormai noto,
nonostante le smentite a tamburo di questi mesi: un bel #
paolostaisereno, e poi tutti alle urne.
In questa rincorsa
congiunta alla rivincita di Renzi e alla rinascita di Berlusconi non c’è
già più spazio per le prudenze istituzionali o per le pendenze
finanziarie. L’idea è che il tripolarismo che paralizza l’Italia, con il
modello tedesco, si risolve con la creazione e la contrapposizione di
due blocchi: il Sistema (Renzi-Berlusconi) e l’Anti- Sistema
(Grillo-Salvini). Comunque vada, un mezzo disastro.
Il rischio
dell’instabilità, proprio durante una delicatissima sessione di
bilancio, non è contemplato. Anzi, è inopinatamente ribaltato a nostro
vantaggio. Anche questo dice Renzi: «Dopo le elezioni tedesche e fino al
voto, l’Italia sarà l’osservato speciale sui mercati. L’eventuale
anticipo del voto non genera l’incertezza, ma la anticipa… ». La
scommessa è stravagante, e a dir poco azzardata. Non ci sarebbe nulla di
strano se i due “pattisti” la giocassero in proprio. Purtroppo non è
così: la posta in palio è il Paese.