Repubblica 29.5.17
Le amministrative, il primo vero test politico
di Ilvo Diamanti
IN
ITALIA tutte le elezioni hanno significato “politico nazionale”. Le
consultazioni amministrative del mese prossimo non fanno eccezione.
Anzi. D’altra parte, si voterà in oltre 1000 Comuni, distribuiti in
tutto il Paese. Tra questi, 4 capoluoghi di Regione (Catanzaro, Genova,
L’Aquila e Palermo) e 25 Capoluoghi di Provincia. Ancora: 8 città al
voto hanno più di 100mila abitanti e 153 più di 15 mila.
PER
questo si tratta di un test “politico” importante. Il più importante,
dopo il referendum costituzionale dello scorso dicembre. Ed è probabile
che l’esito stesso dell’imminente voto amministrativo contribuisca ad
assecondare oppure a scoraggiare la tentazione di chiudere anzitempo la
legislatura. Le elezioni “comunali”, d’altronde, hanno assunto un ruolo
“politico” particolare, fin dai primi anni Novanta. Quando permisero di
sperimentare nuovi modelli istituzionali, di fronte alla crisi della
Prima Repubblica. L’elezione diretta dei sindaci, nel 1993, divenne,
infatti, il metodo per rispondere alla crisi dei partiti e della classe
politica, in mezzo al terremoto di Tangentopoli. I sindaci: divennero,
allora, gli interpreti delle istituzioni. Per dare un volto a una
democrazia “impersonale”, lontana dalla società. Dal 1993 in poi, non a
caso, l’elezione diretta è stata estesa in ogni direzione. In
particolare, ai Presidenti delle Regioni. In seguito, anche ai leader
dei partiti, attraverso le primarie. Infine, agli stessi Capi di
governo, “indirettamente eletti in modo diretto”, vista la tendenza a
indicare sulle schede elettorali il nome dei leader delle coalizioni. In
questo modo, la politica si è “personalizzata”. Spinta dai media e, in
particolare, dalla televisione, che hanno progressivamente riempito il
vuoto lasciato nella società e sul territorio dal declino dei partiti di
massa. Difficile dimenticare la generazione dei sindaci eletti
direttamente in quella fase. In tutte le latitudini del Paese. Da Nord a
Sud, passando per il Centro. Basti pensare, fra gli altri, ad Antonio
Bassolino, Francesco Rutelli, Riccardo Illy, Massimo Cacciari, Leoluca
Orlando, Enzo Bianco. Così, i sindaci si sono imposti come soggetti di
democrazia — e di rappresentanza — diretta. In soccorso al logoramento
della democrazia rappresentativa. Anche per questo, in seguito, alcuni
di essi sono divenuti leader “nazionali”. Talora: capi del governo. Si
pensi (ancora) a Rutelli, Veltroni. Allo stesso Renzi.
Infine, le
elezioni comunali hanno favorito l’affermazione di nuovi soggetti
politici. Da ultimo, ma non certo per importanza, il M5s. Proprio 5 anni
fa. Nel 2012. Quando Federico Pizzarotti conquistò Parma. E offrì al
M5s non solo visibilità, ma fondamento. Perché fornì la prova che il M5s
non era solo una rete di movimenti e di associazioni. Ma un “partito”.
Magari, un “non-partito”. In grado di conquistare il governo. Delle
città, dapprima. Poi, si vedrà… Le ambizioni di governo del M5s,
peraltro, sono state amplificate alle amministrative dell’anno scorso.
Per questo il voto di giugno sollecita tanta attenzione. Perché,
comunque vada, determinerà effetti rilevanti. Non solo nelle città
coinvolte. Ma sul piano nazionale. Sul consenso dei leader di partito e
di governo. Sulle alleanze attuali e potenziali.
I sondaggi
condotti da Demos per Repubblica e pubblicati nei giorni scorsi sono,
dunque, interessanti. Anche se mancano due settimane dal primo turno e
un mese dall’eventuale ballottaggio. La realtà potrebbe rivelarsi
diversa, com’è già avvenuto in passato. Perché, senza considerare i
limiti del metodo adottato, la campagna elettorale è tuttora in corso.
Molti elettori (oltre 2 su 10) devono ancora decidere. E l’esito del
primo turno può cambiare profondamente il clima d’opinione. Com’è
avvenuto l’anno scorso, quando ha, certamente, “lanciato” i candidati
del M5s. A Roma, ma soprattutto a Torino. Il sondaggio di Parma,
comunque, suggerisce come Pizzarotti oggi disponga di una notevole
legittimazione personale. Se 5 anni fa era il portabandiera della sfida
del M5s al sistema, oggi appare protagonista della sfida del sistema al
M5s. Un “non-partito” che, tuttavia, ha assunto alcuni vizi dei partiti
contro i quali è nato e dichiara di combattere. Anzitutto, la
centralizzazione. Meglio: la “personalizzazione centralizzata”. È,
infatti, significativo come al possibile successo di Pizzarotti, a capo
di una lista “personale”, corrisponda l’insuccesso (possibile) del
candidato e della lista del M5s. Anche a Genova, dove la storia di
Grillo ha “radici” profonde, il candidato del M5s, Luca Pirondini, è
minacciato dalla concorrenza, per quanto limitata, espressa dalle liste
presentate da due fuoriusciti. Fra loro: Marika Cassimatis, bocciata da
Grillo, dopo essersi affermata alle Comunarie. Ma Genova appare un caso
esemplare dell’equilibrio instabile che oggi caratterizza l’Italia.
La
conferma viene da Palermo. Un osservatorio particolarmente
significativo della personalizzazione, in ambito urbano e nazionale.
Leoluca Orlando, infatti, è “nato”, politicamente, a Palermo. Negli anni
Ottanta. Prima della stagione dei sindaci. Che ha, peraltro,
interpretato, nel decennio successivo. Quando, tuttavia, ha svolto un
ruolo significativo anche in ambito nazionale. In partiti-movimenti
apertamente critici verso il sistema. Dalla Rete all’Italia dei Valori.
Orlando: non ha mai rinunciato alla parte del Capo popolar- populista,
che, soprattutto nel Mezzogiorno, è utile ad allargare i consensi.
Proprio per questo, attrae e divide. Potrebbe passare subito, al primo
turno. Ma, in caso di ballottaggio, rischia di subire l’aggregarsi del
“voto contro”.
Naturalmente, molte altre e diverse sono le ragioni
di interesse offerte dalle prossime amministrative. Ci sarà tempo per
valutarne il significato. Per ora, mi limito a osservare che si
tratterà, a mio avviso, di “elezioni critiche”. Perché potrebbero
segnare il tramonto della stagione dei sindaci. E, insieme, dei “partiti
personali”, che ne sono gli eredi. Ma anche dei “non-partiti”, poco
credibili di fronte alla prospettiva di governo, anche in ambito locale.
E indeboliti dalla debolezza degli “antagonisti”: i partiti. Personali e
impersonali. L’Italia dei Comuni, insomma, non si rassegna alla
politica della non-politica.