mercoledì 24 maggio 2017

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così Google decide le materie da studiare

Più della metà degli studenti delle scuole primarie e secondarie americane – oltre 30 milioni di ragazzini –scrive i temi su Google Docs, consulta materiali didattici da cartelle di Google Drive, allo stesso modo legge i compiti da fare e le comunicazioni degli insegnanti: tutto contenuto in Classroom, app gratuita della Suite for Education fornita da Mountain View. Alla quale nella maggior parte dei casi gli allievi accedono con i Chromebook, laptop di Google che, dopo uno sbarco non brillantissimo sul mercato, nel 2016 sono arrivati a rappresentare invece il 58% del totale degli strumenti mo - bile usati nelle scuole Usa. Google non guadagna dalla vendita dei laptotp – prodotti da aziende di hardware come Samsung e Acer – ma chiede alle scuole 30 dollari di commissione per ogni Chromebook. Il distretto scolastico di Chicago, terzo per grandezza negli Stati Uniti, ha speso l’anno scorso 33 milioni e mezzo di dollari per averne 134 mila. Solo nel 2012 la presenza di device targati Google nelle scuole americane sfiorava lo zero, mentre Microsoft e Apple si contendevano il mercato con circa 3 milioni di pc a testa. La svolta ha un nome e cognome: Jaime Casap, l’uomo che è riuscito a convincere gli insegnanti di mezza America che l’uso del pacchetto Google per l’istruzione avrebbe accresciuto le prospettive di carriera dei ragazzi e tagliato i costi delle scuole. Ma questa «Googlificazione delle classi», come l’ha definita Natasha Singer sul New York Times, pone un problema di contenuti: nella Suite for Education i programmi sono strutturati in modo da dare molta più attenzione alla capacità di fare team e al problem solving rispetto a conoscenze da sempre ritenute basilari come la matematica e il semplice far di conto. Con il suo ingresso repentino tra i banchi scolastici Google si è messa al centro di un dibattito filosofico che dura da decenni: la scuola pubblica deve sfornare cittadini formati o lavoratori competenti? La risposta, più o meno volontaria, è arrivata da Jonathan Rochelle, il capo della divisione delle app educative: riferendosi ai suoi figli durante una conferenza ha detto: «Non so cosa se ne faranno delle equazioni, né perché le stiano imparando». (gdv)