Il Sole Domenica 28.5.17
La caduta del duce
Il giallo del Gran Consiglio
Troppi
verbali postumi rimettono in discussione il resoconto di quella notte
drammatica del ’43. Di sicuro rimane solo il voto finale
di Emilio Gentile
La
recente acquisizione di carte di Luigi Federzoni, uno dei più
autorevoli protagonisti del regime fascista, da parte della Direzione
Generale Archivi, è un evento di grande importanza, perché quasi tutti i
documenti riguardano la seduta del Gran Consiglio del fascismo a
Palazzo Venezia, iniziata alle 17 del 24 luglio 1943 e terminata alle
2.30 del 25 luglio. Per volontà del duce, non fu redatto un verbale
ufficiale della seduta. Il Gran Consiglio era stato creato da Mussolini
dopo l’ascesa al potere, alla fine del 1922, e nel 1929 fu da lui
trasformato nel supremo organo costituzionale dello Stato monarchico e
fascista.
Dopo dieci ore di discorsi e polemiche, 19 gerarchi su
28 votarono un ordine del giorno presentato da Dino Grandi, nel quale il
Gran Consiglio dichiarava necessario «l’immediato ripristino di tutte
le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al
Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità
stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali»; e invitava
«il Governo a pregare la Maestà del Re» a riassumere «l’effettivo
comando delle forze armate di terra, di mare e dell’aria», che il re
aveva delegato al duce al momento dell’intervento italiano nella Seconda
guerra mondiale, il 10 giugno 1940.
In seguito all’approvazione
dell’o.d.g. Grandi, il re dimise Mussolini da capo del governo, nominò
al suo posto il generale Pietro Badoglio, e fece arrestare l’ex duce. Fu
la fine del regime fascista. Il fascismo, disse Badoglio il 18 ottobre
1943 in un discorso ad alcuni ufficiali, «non è stato rovesciato da noi:
da Sua Maestà o da me», ma «lo hanno abbattuto gli stessi componenti
del Gran Consiglio».
La memorialistica e la storiografia hanno
scritto molto sull’ultima seduta del Gran Consiglio. Ora, la
documentazione inedita acquisita dalla Direzione Generale Archivi apre
la strada a nuovi interrogativi su quanto effettivamente fu detto
nell’ultima seduta soprattutto da Grandi, da Federzoni e dagli altri 17
gerarchi, che per la prima volta, dopo un ventennio di incarichi
autorevoli e prestigiosi sotto il comando del duce, osarono negargli la
loro fiducia, giudicandolo responsabile della degenerazione totalitaria
del regime fascista.
Un ampio resoconto dalla seduta fu pubblicato
nel 1967 da Federzoni in appendice al libro di memorie Italia di ieri
per la storia di domani. Il resoconto era preceduto da queste parole:
«Durante l’ultima seduta del Gran Consiglio, per antica abitudine di
giornalista, ebbi cura di prender nota particolareggiata di ciascun
intervento. Nei giorni immediatamente seguenti la riunione completai
questo resoconto con l’animo di chi sente di adempiere un preciso
dovere». Il testo, in 46 pagine a stampa, riportava fedelmente, secondo
quanto asserito da Federzoni, quel che Mussolini e gli altri gerarchi
dissero nella notte fra il 24 e il 25 luglio 1943.
Nei decenni
precedenti alcuni protagonisti dell’ultima seduta del Gran Consiglio
avevano pubblicato già i loro resoconti. Aveva cominciato Mussolini,
nell’agosto 1944, col libro Storia di un anno, dando la sua versione
degli interventi suoi e dei gerarchi che parlarono a favore e contro
l’o.d.g Grandi. Dopo il 1945, altri resoconti furono pubblicati da vari
membri del Gran Consiglio, ciascuno proponendo una sua versione degli
interventi. Nel 1946, Federzoni pubblicò un racconto sommario
dell’ultima seduta, come anticipazione di un libro intitolato Memorie di
un condannato a morte, che rimase inedito, e fu poi rifuso nel libro
del 1967.
Del resoconto sul Gran Consiglio pubblicato in questo
libro, c’è una versione in 71 cartelle dattiloscritte, conservata nel
Fondo Luigi Federzoni dell’Archivio Storico Istituto Enciclopedia
Italiana. È una versione ben più ampia del testo del 1967, con molte
cancellature e rifacimenti manoscritti dello stesso Federzoni.
Tuttavia,
da testimonianze di altri firmatari dell’o.d.g. Grandi, risulta che
Federzoni non fu l’unico estensore del verbale che lui sosteneva di aver
compilato nei giorni successivi al 25 luglio sulla base di note
particolareggiate prese durante la seduta. Infatti, in un libro sul 25
luglio, scritto nel 1944 ma pubblicato solo nel 1983, Grandi afferma di
aver parlato a braccio «cioè senza l’ausilio di note od appunti», ma di
avere poi dettato il testo dei suoi interventi alla sua segretaria, la
mattina del 25 luglio, su richiesta di Federzoni: «La copia
dattiloscritta – scrive Grandi – venne da me personalmente rimessa a
Federzoni poche ore dopo, perché la inserisse nel verbale della seduta,
come da noi convenuto». Inoltre, nel diario di Giuseppe Bottai,
pubblicato nel 1982, alla data dell’8 agosto 1943, si legge: «fu
domenica 25 alle ore otto di sera che rientrai da casa Federzoni, ove
avevamo su note “verbalizzato” la seduta della notte». Anche Bottai
aveva fatto nel suo diario un resoconto della seduta del Gran Consiglio,
in parte pubblicato nel 1949 nel libro di memorie Vent’anni e un
giorno. Infine, la figlia di Federzoni, Elena, ricorda nelle sue memorie
inedite che il 25 luglio «quasi tutti i diciannove firmatari
dell’ordine del giorno Grandi vennero a casa nostra a Roma per stendere
il verbale della seduta».
Queste testimonianze provano che per
compilare il resoconto pubblicato nel 1967, Federzoni non si avvalse
solo delle sue note, ma ebbe la personale collaborazione di altri
gerarchi. Fra le carte acquisite dalla Direzione Generale Archivi, vi
sono infatti testi manoscritti di interventi di altri firmatari
dell’o.d.g. Grandi, quasi letteralmente riprodotti nel resoconto del
1967. Ma altri documenti ancora, compresi nelle carte di Federzoni,
fanno dubitare che il resoconto del 1967 sia stato effettivamente
compilato poco dopo il 25 luglio.
Innanzi tutto, fra i nuovi
documenti, vi sono due differenti verbali della seduta. Uno consiste in
otto fogli, scritti da Federzoni: sono, quasi certamente, gli appunti da
lui scritti durante la seduta, ma sono molto succinti, anche una sola
parola , e non una «nota particolareggiata» degli interventi. L’altro
verbale, più dettagliato, consiste in 22 fogli manoscritti, con grafia
diversa da quella di Federzoni: si tratta, molto probabilmente, della
«verbalizzazione» fatta in casa sua nella giornata del 25 luglio, ma non
coincide con il testo del 1967 perché è molto più lacunoso.
Altri
due documenti della recente acquisizione inducono a pensare che il
resoconto del 1967 non sia stato compilato da Federzoni nel luglio 1943,
bensì una decina di anni dopo. Il 22 aprile 1956, Federzoni scriveva a
Grandi che intendeva pubblicare «un libercolo» scritto durante
l’occupazione tedesca, contenente un «diffuso e esatto verbale della
famosa seduta», nel quale però «si deplora una sola lacuna, ma
gravissima: manca il riassunto del tuo discorso illustrativo del tuo
ordine del giorno». Grandi gli rispondeva il 26 giugno: «Ti accludo il
testo del mio discorso pronunciato in Gran Consiglio il 25 luglio 1943,
nonché il testo di un mio secondo “intervento” successivo nella
discussione». Anche Alfredo De Marsico, altro firmatario dell’ o.d.g.
Grandi, su richiesta di Federzoni inviò il testo del suo intervento l’11
giugno 1956. I testi inviati da Grandi e da De Marsico nel 1956 sono
riprodotti quasi interamente nel resoconto del 1967. È quindi plausibile
concludere che questo resoconto non sia stato compilato nel luglio del
1943 bensì nel giugno del 1956 o successivamente.
Una così
stridente discordanza fra le diverse versioni e le diverse date in cui
furono redatte, ripropone alla storiografia quesiti molto rilevanti
sull’ultima seduta del Gran Consiglio. L’unica cosa certa è il risultato
della votazione finale. Ma i nuovi documenti sollecitano nuove indagini
e nuove riflessioni, per cercare di conoscere come sono andate
effettivamente le cose in Gran Consiglio, nella notte il 24 e il 25
luglio 1943, quando avvenne il suicidio del regime fascista.