Il Sole Domenica 28.5.17
Neuroscienze
Cervelli «autoreferenziali»
di Arnaldo Benini
Il
cervello non è, come molti scienziati e filosofi credevano una trentina
d’anni orsono, una macchina passiva che accumula ed elabora
informazioni. Il cervello è altamente selettivo con gli impulsi
trasmessi alla coscienza dagli organi di senso e dalla riflessione.
Circa nove decimi di loro rimangono incoscienti. Il criterio della
selezione è sconosciuto. Il cervello non percepisce il mondo com’è, ma
seleziona, trasformandolo, ciò che è rilevante per il mantenimento
dell’individuo e della specie. Pur sapendo che la razionalità dimostra
che la realtà è diversa, noi percepiamo la terra ferma e il sole che le
gira attorno, cioè un ambiente infinitamente più gradevole per la nostra
specie che sentire di stare sopra una palla che gira su sé stessa e
intorno al sole a velocità folle.
Il dilemma che ne deriva non è
nuovo: se noi viviamo nel mondo costruito, come ribadiva il cibernetico
Heinz von Foerster, dalla percezione (su questo neuroscienziati e molti
filosofi concordano) fino a che punto di affidabilità i meccanismi
cognitivi del cervello sono in grado di conoscere sé stessi? Questo è il
dilemma che nove neuroscienziati tedeschi di alto livello trattano in
questo notevole libro, curato dal filosofo della scienza Mathias
Eckoldt. La base comune degli specialisti di diverse discipline
(neuropsicologia, neurolinguistica, neurobiologia, neuroinformatica) è
l’autoreferenzialità del cervello che organizza il suo funzionamento e,
con la metodologia delle neuroscienze, studia sé stesso.
L’autoreferenzialità è assoluta, perché nessun altro meccanismo stimola e
controlla i dati che il cervello raccoglie, elabora, produce e in parte
rende coscienti. Il problema della capacità del cervello di indagare e
capire sé stesso come organo della coscienza (meglio,
dell’autocoscienza) implica la domanda circa i limiti della conoscenza
non solo della natura, la cui circonferenza, ammoniva David Hume, è
infinitamente più grande di quella della mente che l’indaga, ma
dell’intera conoscenza.
Anche la matematica, epìtome della
creatività cerebrale, ad esempio, ha limiti insuperabili. Come pensate
di costruire un’intelligenza umana artificiale, chiedeva von Foester
negli anni ’50 del secolo scorso agli esaltati neofiti della
cibernetica, se il cervello umano sa così poco di come esso stesso
funziona? La scelta degli interlocutori di Eckoldt è felice. Non si
tratta di filosofi della speculazione astratta o di ricercatori delusi e
sarcastici circa la neuromania, ma di scienziati che avvertono i limiti
della conoscenza al fronte più avanzato della ricerca, condotta con i
criteri rigorosi del fisicalismo.
Nonostante ostacoli, difficoltà e
delusioni, essi (a differenza di molti loro colleghi) sanno di non
potervi rinunciare. Tutti concordano sui progressi indubbi delle
neuroscienze, i più importanti dei quali sono le scoperte della
neurogenesi e della plasticità cerebrale, alle quali sono dedicate
pagine acute. Neuroni vengono formati per tutta la vita, e ad essi,
verosimilmente, è dovuta la memoria episodica e semantica: ogni ricordo
sembra essere legato a nuovi neuroni che sostituirebbero neuroni vecchi,
per cui il ricordare s’accompagna al dimenticare. Una scoperta ha posto
nuovi ed inattesi problemi: nel cervello umano ci sono circa mille tipi
di neuroni, diversi per struttura, ultrastruttura e mediazione chimica:
strutture diverse presuppongono funzioni diverse, e resta in gran parte
da capire il senso di una tale immensa diversificazione.
La
neuroplasticità è il meccanismo alla base dell’esperienza: diventa
cosciente solo ciò che trasforma la corteccia cerebrale. Ogni
esperienza, anche interiore come la meditazione, per il neurofisiologo
Gerald Edelman è un atto creativo, perché se ne diventa coscienti solo
se e quando essa modifica, cioè ricrea, il parenchima del cervello. I
neurobiologi sottolineano l’origine evolutiva dei meccanismi cognitivi
umani, perché non esiste funzione cognitiva, emozionale e sociale che
non abbia antecedenti nei primati e in altri animali, anche
piccolissimi. A maggior conferma che la coscienza è un evento
chimico-fisico evolutivo. Lo confermano gli studi di Rudolf Menzel sulle
straordinarie capacità comunicative e organizzative del mi- nuscolo
sistema nervoso delle api.
Più cose si conoscono, più complessi
sono i loro collegamenti. Wolf Singer, famoso per la scoperta della
sincronizzazione elettrica dei neuroni attivi simultaneamente, dice di
sapere oggi sul cervello meno di quanto credeva di sapere 20 anni fa. Si
sanno molte più cose, ad esempio a livello molecolare, e proprio per
questo è diventato più difficile formulare una teoria generale del
funzionamento del cervello. Le nuove tecnologie della visualizzazione
del cervello umano attivo (risonanze magnetiche, TAC, ecc) sono molto
apprezzate, senza trascurare che esse segnalano quale area cerebrale è
attiva ma non che cosa in quell’area avvenga.
Inoltre è recente
l’evidenza che parte dei dati della visualizzazione cerebrale è
inattendibile per l’imprecisione della tecnica (Nature Neuroscience 20,
299-303,2017). Alla domanda circa la natura e la conoscenza dei
meccanismi nervosi dell’evento naturale della coscienza, la risposta è
stata unanime: la coscienza è e rimarrà oltre i limiti della possibilità
di conoscere, perché, dice Singer con grande acutezza, con le
neuroscienze che la studiano cerchiamo di chiarire le oscurità
dell’universo in noi stessi.
Gerhard Roth propone l’analogia fra
autocoscienza e forza di gravità: sentiamo che entrambe esistono e che
noi viviamo dentro di loro, ma non riusciamo a capirle. La risposta dei
nove neuroscienziati alla domanda circa il cervello alla ricerca di sé
stesso è unanime: i dati delle neuroscienze sono preziosi, ma, come in
ogni campo della ricerca, impongono cautela. Ci si deve avvicinare alla
verità, ma essa non è alla nostra portata.
Le difficoltà del
cervello a capire sé stesso potrebbero essere all’origine degli
ostacoli, fino ad ora insormontabili, nello studio, e quindi nella
prevenzione e nella cura, di orrende malattie neurodegenerative come
quella di Alzheimer. Il libro è nella migliore tradizione della
pubblicistica scientifica.
Matthias Eckoldt (Curat.) Kann das
Gehirn das Gehirn verstehen? Gespräche über Hirnforschung und die
Grenzen unserer Erkenntnis (Il cervello può capire il cervello? Colloqui
sulle neuroscienze e i limiti della conoscenza) Contributi di A.D.
Federici, G. Hüther, Ch. von der Malsburg, H.J. Markowitsch, R. Menzel,
F. Rösler, G. Roth, H. Scheich, W. Singer, Carl-Auer Verlag Heidelberg,
pagg.250 € 30