venerdì 5 maggio 2017

Il Manifesto Alias 29.04.2017
Per non perdere l’orientamento tra cinquemila anni di storia
di L.D.S.


Sarà un lungo viaggio, dove la sola fatica è quella che lascia addosso il peso delle emozioni. Settanta soste, ognuna esempio, dimostrazione, conferma, di come la Via della Seta sia stata nella complessità della sua storia un mondo a parte, disegnato da confini estranei alle geografie politiche, abitato non da uno ma da cento popoli, privo di una lingua ufficiale e di una cultura dominante. Settanta soste e cinquemila anni, cui la mostra aveva il compito di dare giusto ordine. Ma se questo serve al visitatore per comprendere lo scorrere del tempo e degli avvenimenti, occorre un duplice sguardo per riuscire ad arrivare oltre l'evidente bellezza. Comincerete, dunque, prestando attenzione alle date e ai nomi; ammirerete la coppa afghana in lapislazzuli, Terzo Millennio prima di Cristo, e il gruppo di suonatori cinesi a cavallo, VIII secolo; vi stupiranno Il Buddha del Ghandara, Secondo/Terzo secolo, e il piviale duecentesco del pontefice Benedetto XI, tessuto in oro orientale; scoprirete precisi rimandi alle sculture della Grecia Classica nel Bodhisattva pakistano, III secolo; cercherete luoghi a voi familiari sul gigantesco Mappamondo di Fra Mauro (1448 - 1459) e sugli emisferi della Descrizione Illustrata del Mondo (1674), del gesuita Ferdinand Verbiest, Direttore dell'Osservatorio astronomico imperiale di Pechino. Vi comporterete, insomma, da interessati e disciplinati viaggiatori sui tracciati della Via della Seta. Il secondo sguardo passerà invece attraverso il gioco delle emozioni citate poco più su. Un gioco che ignora l'ordine prestabilito, lo scompiglia, mescola i secoli. Così ha fatto chi scrive, e adesso prova a darvene conto in modo del tutto soggettivo. Gli occhi non riescono a cancellare l'immagine del bassorilievo funerario proveniente da Palmira, Terzo Secolo, pietra di calcare dipinta e dorata. La figura femminile, mano sinistra alla tempia, l'altra poggiata all'altezza della vita, è resa ancor più nobile dall'oro della corona che le cinge la fronte, della collana, del bracciale intorno a un polso. Dietro di lei l'immagine di un bambino che indossa una tunica e regge un grappolo d'uva e un uccello. Chi siano stati lo dice la scritta in aramaico 'Figlia di ML, ahimé!', 'Figlio di QRD, ahimé'. Invocazione dolorosa che coglie pensando a Palmira, città carovaniera e di meravigliose rovine, resa fantasma dall'assurda violenza delle soldataglie dell'Isis. Baghdad o Isphahan, Mesopotamia o Persia, sono le patrie dei ceramisti che nel Nono o Decimo secolo diedero forma alla coppa della pasta vitrea azzurra chiamata Korasan, assai simile al turchese. Gli orefici di Bisanzio vi aggiunsero la montatura in oro e pietre preziose. Piccoli capolavori sono le statuette cinesi del Cammelliere su cammello battriano, cioè proveniente dalla Battria, regione dell'Afghanistan; il Guardiano di Tomba, il Mercante centrasiatico, l'attendente, datati alla Dinastia Tang, 618-907. Capolavori nei capolavori, ancora di epoca Tang, la Cavallerizza, che sul retro della sella porta un animale da caccia, forse un felino, e soprattutto lo Straniero dal volto velato. Testimone delle tante etnie che sulla Via della Seta vivevano o transitavano, l'unica certezza a proposito del misterioso personaggio è la sua origine caucasica. La postura sospesa, una gamba ripiegata e l'altra allungata, ha dato spazio alle più diverse ipotesi. Alcuni lo ritengono un sacerdote zoroastriano, i lineamenti nascosti dal velo rituale, nell'atto di manipolare i bastoncini della cerimonia del fuoco; per altri si tratterrebbe di un danzatore o di un suonatore di tamburo; altri ancora lo identificano in un conducente di carro o di cammello, con le redini in pugno; oppure, guardando alla veste candida, come un attore in scena. Seppure giunto in copia a Torino per ragioni conservative, l'originale è custodito all'Archivio di Stato di Venezia, il testamento di Marco Polo, 9 gennaio1324, ferma il respiro di chi prova a decifrarne le parole. Perché quel semplice elenco di lasciti e disposizioni lo ha dettato alla fine della sua vita l'autore del Milione, quasi ottocento anni fa. Sopra il Sigillum tabellonis apposto dal notaio, Marco lasciò scritto di aver toccato la pergamena per rendere legittime le sue volontà, Signus Manus. Il Buddha stante, India Utthar Pradesh, Quarto/Sesto secolo, è creatura immobile di arenaria rossa. Monca delle mani, la destra era stata probabilmente fissata nel gesto della rassicurazione, abhayamudra, il palmo rivolto all'esterno, mentre la sinistra sorreggeva un velo. Il volto è illuminato da un sorriso leggero e sottile, gli occhi rivolti verso il basso sembrano guardare qualcuno. Le linee del corpo, piene e armoniose, sono avvolte nel drappeggio della veste. Un'aureola circonda la testa su cui spicca l'usnisa, la protuberanza simbolo della dilatazione della coscienza. Basta, adesso. Perché adesso tocca a voi. Settanta soste e cinquemila anni da attraversare, dimenticando subito e senza averne precisa coscienza che la Via della Seta è a Torino, dentro lo spazio di una mostra.

Alla realizzazione della mostra hanno concorso, insieme alle collezioni del MAO, reperti da musei italiani ed europei. Tra questi il Musée du Louvre e il Musée Guimet di Parigi, il Museumfür Byzantinische Kunst di Berlino, il generosissimo Museo delle Civiltà / Museo Nazionale d'Arte Orientale Giuseppe Tucci di Roma, la Biblioteca Apostolica Vaticana, il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, l'Archivio di Stato di Venezia. L'ultima sala è riservata alle opere di artisti cinesi contemporanei che si sono ispirati alle tradizioni antiche. Citazione speciale per Qiu Qijing, autore della scultura Capriccio d'acqua, in giada, evidente citazione delle onde di Hiroshige, e del gigantesco Cavallo, rame smaltato in nero, collocata nel giardino orientale che precede l'ingresso (lds)