il manifesto 30.5.17
Intervista a Camusso: «Il blitz sui voucher una minaccia alla democrazia»
La
segretaria della Cgil contro l’emendamento di Pd, Fi e Lega che
reintroduce i buoni lavoro: appello al Quirinale e alla Consulta: «Non
si era mai vista una forzatura simile nella storia della nostra
Repubblica». «Il nuovo ticket è un imbroglio: non c’è contratto, mancano
le tutele e i contributi rischiano di andare persi». «Un errore
accelerare per andare a elezioni, troppe scadenze». Il 17 giugno
manifestazione a San Giovanni
Antonio Sciotto
ROMA
«Andremo fino in fondo: la Cgil si appella al Presidente della
Repubblica, scenderemo in piazza, ricorreremo alla Corte costituzionale.
Non era mai accaduto nulla di simile nella storia della nostra
Repubblica: approvare una legge per evitare una consultazione
referendaria, e poi riproporla il giorno prima della data in cui si
sarebbe dovuto votare». La segretaria della Cgil Susanna Camusso è
concentrata alla scrivania del suo ufficio al quarto piano di Corso
d’Italia, il telefonino riceve sms senza sosta, tutto il sindacato è in
fibrillazione: l’appello a Sergio Mattarella – che tutti i cittadini
possono sottoscrivere – è appena partito sui social, e si punta alla
riuscita della grande manifestazione prevista il 17 giugno in Piazza San
Giovanni.
Il vostro appello al Presidente Mattarella si intitola
«Schiaffo alla democrazia», e prima ancora che sui voucher – sui
contenuti – si concentra sui modi in cui è stata gestita questa partita.
Vedete una minaccia alla nostra democrazia?
Ritengo che quando si
indeboliscono le regole e la certezza delle istituzioni si è sempre di
fronte a una minaccia alla democrazia. Non si tratta certo di una
minaccia agita con le armi, ma è in atto un logoramento, uno
svuotamento. Quando il governo aveva varato il decreto di abrogazione
dei voucher, aveva anche precisato che non sarebbe stato scontato
introdurre subito un nuovo strumento per le imprese, e che, se comunque
lo avesse fatto, avrebbe prima sentito le parti sociali. E invece, nel
finesettimana appena trascorso – quello in cui si sarebbe dovuto votare –
abbiamo assistito a 48 ore surreali, con un «emendamento senza padri»:
non si capiva se fosse da intestare all’esecutivo o al Pd, in un ping
pong che a tutti è sembrato quello tipico di chi gioca di soppiatto.
Ve lo aspettavate un tiro simile? Il 6 maggio avevate festeggiato, e a fine maggio è tutto di nuovo in discussione.
Un
fondo di preoccupazione lo abbiamo sempre avuto, c’erano tutti gli
elementi per pensare che l’abrogazione fosse arrivata più per evitare la
consultazione che non per convinzione, ma pensavamo che almeno la
certezza dell’ordinamento costituzionale continuasse a essere garantita.
Invece si è mostrata una assoluta disinvoltura, una disattenzione verso
le regole, che è ancora più preoccupante quando senti molti
commentatori dire che questo fatto non è poi così importante, che «non
ha senso che un governo cada sul lavoro». Si continua a derubricare un
tema, il lavoro, che invece tocca da vicino le persone, che in questi
anni ha visto allontanare le istituzioni dai cittadini, alimentando il
distacco.
Quindi ricorrerete innanzitutto agli organi di garanzia costituzionale. Tecnicamente con quali passaggi?
C’è
innanzitutto, ed è partito subito sui social, un appello al Capo dello
Stato Sergio Mattarella: a nostro parere si sta violando l’articolo 75
della Costituzione, perché si è aggirato – come non era mai accaduto
prima nella storia della nostra Repubblica – un quesito referendario per
cui era già stata indetta una consultazione popolare, poi annullata
grazie a una legge. Se l’emendamento passato in Commissione Bilancio
dovesse diventare legge, faremo ricorso alla Consulta. Aggiungo che è
anomalo anche l’aver inserito questo tema in una manovra economica,
senza soddisfare il requisito dell’urgenza e dell’unicità
dell’argomento. Sono scivolamenti continui verso il non rispetto delle
leggi, come è accaduto venerdì notte con un emendamento comparso
improvvisamente, con l’obiettivo di sanare quanto il Tar aveva detto in
una sua sentenza. Vorrei che i nostri rappresentanti dimostrassero
maggiore senso delle istituzioni.
Immagino questo ultimo
riferimento sia al caso dello scontro tra il ministro dei Beni culturali
Dario Franceschini e il Tar del Lazio sui cinque direttori dei musei. E
sul piano dei contenuti, perché i «nuovi voucher» non vanno bene?
Innanzitutto
c’è il problema che non viene definito cosa sia il «lavoro occasionale»
per le imprese: a parte l’edilizia, che non è stata prevista, questo
strumento si potrà accendere per qualsiasi attività e categoria. Non
esistono causali, campi di applicazione. I tetti di reddito sono solo
poco più bassi di quelli precedenti. E poi lo stesso limite dei cinque
dipendenti è aggirabile nelle imprese agricole e artigiane, dove sono
impiegati anche i familiari, non conteggiati in questo tetto. In
agricoltura, temiamo che intere stagioni verranno fatte con questi nuovi
voucher, andando a sostituire i contratti provinciali: ancora una volta
si punta solo a risparmiare sul costo del lavoro, e l’addetto dopo non
avrà diritto neanche ai sussidi.
Però adesso – dice chi lo difende – il nuovo voucher è almeno in forma di contratto.
C’è
un imbroglio alla base, un imbroglio che è prima di tutto nella
comunicazione, quando si dice che si tratta di un contratto. Più che di
un contratto, si tratta di un accordo commerciale tra due parti. Perché
non esiste alcuna definizione dei diritti e dei doveri, delle tutele per
la persona che presta la sua attività lavorativa. Non basta il
riferimento alla legge sugli orari – noi ad esempio nei contratti la
definiamo molto di più – e non basta che ci sia la contribuzione Inail e
Inps, sacrosanta di per sé ma non adeguata nel modo in cui è stata
prevista. Che ci debbano essere i contributi è il minimo, certo,
altrimenti si sarebbe trattato di lavoro nero: ma il fatto che non si
apra una posizione contributiva, ma che tutto vada alla gestione
separata, porta al rischio che quei lavoratori non avranno mai reali
prestazioni, a partire dalla malattia. Quei contributi si dovranno
oltretutto poi ricongiungere, rischiando dei salassi per chi parte già
da bassi redditi. Infine, la cosiddetta «tracciabilità» prevede che sì,
devi attivare lo strumento un’ora prima, ma dice anche che puoi
confermare la prestazione nei tre giorni successivi: non è che qualche
impresa magari si dimenticherà di farlo?
Quindi come si dovrebbero regolare le aziende, secondo voi, per poter effettuare in regola i lavori non continuativi?
Lo
abbiamo ripetuto fino alla stanchezza. Per le imprese esistono già
tanti strumenti contrattuali: dall’extra-orario al part time, dal lavoro
a chiamata fino alla somministrazione. Che peraltro, ci era stato detto
che con il Jobs Act avrebbero dovuto progressivamente andare verso lo
sfoltimento, e comunque costare di più del lavoro stabile: stiamo ancora
aspettando, e nel frattempo arrivano nuove forme di rapporti precari.
Per non parlare del pubblico: si dà l’ok a utilizzare i nuovi voucher
per eventi di solidarietà, per le calamità. Definizioni generiche dove
può rientrare tutto, e c’è una contraddizione con il Testo unico appena
concordato con il governo, in cui si era sottoscritto l’impegno a
stabilizzare i lavoratori del pubblico e ad evitare il ricorso al lavoro
accessorio.
I voucher per le famiglie vi vedono invece d’accordo?
Il
settore familiare è l’unico, come abbiamo scritto nella Carta dei
diritti, che può prevedere un genuino rapporto di lavoro occasionale.
Vedo comunque dei rischi: non vorrei che i nuovi buoni sostituissero i
contratti di lavoro domestico, che esistono già e sono semplici da
attivare. Oggi si fa tutto nella piattaforma Inps, ti arrivano perfino i
bollettini a casa. E pure questi lavoratori, li spostiamo da una
posizione Inps definita al calderone della gestione separata? In questo
modo anche la loro condizione è destinata a peggiorare.
Ma questa
improvvisa virata da parte del governo, del Pd, nei confronti di quello
che era stato deciso solo poche settimane fa con l’abrogazione dei
voucher, secondo voi è solo un modo per creare «l’incidente» e andare al
voto in autunno? O è magari una «vendetta» contro la Cgil, anche per il
4 dicembre?
Faccio notare che tra i temi della riforma bocciata
il 4 dicembre c’era – dicevano in campagna elettorale – l’obiettivo di
facilitare i referendum, abbassando le soglie per il quorum. E adesso
vediamo come hanno rispettato l’istituto del referendum. Detto questo,
io credo che il partito di maggioranza avesse già deciso di accelerare
verso le elezioni in autunno, indipendentemente dal tema voucher: e lo
vediamo dall’attuale discussione sulla legge elettorale. Poi, sì, forse
può aiutare avere l’occasione per «l’incidente». In ogni caso ritengo
che sia un errore andare al voto in autunno: si rischia di non avere la
legge di Bilancio, di andare in esercizio provvisorio, che scattino le
clausole di salvaguardia e quindi l’aumento dell’Iva, il tutto in un
momento di difficile definizione dei nostri rapporti con la Commissione
Ue e di possibili novità da parte della Bce sul quantitative easing.
Quindi
chiamate di nuovo il popolo italiano a mobilitarsi. Anche il papa di
recente, parlando a Genova, ha concentrato il suo discorso sul lavoro.
Mi
pare che papa Bergoglio abbia detto cose non scontate e nuove su cosa
voglia dire fare impresa, sulla meritocrazia, concentrandosi sul lavoro
non solo come fonte di reddito: ma anche come progetto che dà senso alla
vita di una persona.