il manifesto 30.5.17
Prima abrogare poi ripristinare, e lo scippo è compiuto
Referendum
sui voucher. Susanna Camusso parla di un ricorso alla Corte
costituzionale. Si riferisce forse a un ricorso del comitato promotore
del referendum per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
Questa è l’unica strada di cui dispone per accedere alla Corte. Ma anche
così sarebbe impossibile rientrare nei tempi
di Massimo Villone
Come
si scippa un referendum al popolo sovrano? Con due semplici mosse.
Prima si abroga la norma oggetto del quesito, e si provoca così la
cessazione delle operazioni referendarie. Poi si approva una legge che
reca la stessa norma, o – per evitare figuracce estreme – una simile.
Chi proprio insiste a dare voce al popolo deve rifare tutto da capo.
È
quel che accade con il decreto-legge 25/2017, conv. in legge 49/2917,
che ha abrogato i voucher, e le norme in discussione in Parlamento volte
a reintrodurli, pur in forma diversa. Lo scippo c’è, e si vede.
Per
le norme sopravvenute dopo i quesiti e la raccolta di firme, i casi
sono due. Se abrogano quelle oggetto dei quesiti, per l’art. 39 l.
352/1970 il referendum – che è abrogativo – non ha più corso. Se le
norme sopraggiunte sono modificative, la Corte di cassazione valuta se
il referendum viene meno (quando le norme nuove vanno nel senso voluto
dai promotori del referendum); ovvero se i quesiti si trasferiscono
sulle nuove norme (in caso contrario). Questo in base allo stesso art.
39 prima citato, nella lettura data dalla Corte costituzionale, sent.
68/1978.
In passato la Corte di cassazione si è pronunciata sulla
sopravvivenza del referendum nel caso di modifiche legislative (da
ultimo, per le trivelle). Ma non è accaduto che le norme fossero prima
abrogate, e subito dopo ripristinate. Se le norme oggi in discussione
fossero sopravvenute in luogo del d.l. 25/2017, sarebbero state certo
considerate modificative della disciplina oggetto dei quesiti, e poi
sottoposte alla Corte di cassazione per valutare la sopravvivenza del
referendum. Invece, se le nuove norme diventeranno legge, il referendum
avrà perso la sua ragion d’essere con l’abrogazione, e l’avrà di fatto
ritrovata con il ripristino. Ma al voto non si arriva più. Ecco lo
scippo, in frode all’art. 75 Cost, alla legge 352 del 1970, e alla sent.
68/1978. Non rileva che la fraus legis et constitutionis sia
consapevole e voluta. Importa che sia oggettivamente realizzata nel
succedersi delle norme adottate dal legislatore.
Lo scippo è
inevitabile. La Corte di cassazione ha con ordinanza sospeso le
operazioni referendarie già il 21 aprile 2017. Per la l. 352/1970 il
voto popolare cade tra il 15 aprile e il 15 giugno, e sarebbe ormai
impossibile riprendere le operazioni per votare entro il termine. Un
sapiente incastro dei tempi.
Susanna Camusso parla di un ricorso
alla Corte costituzionale. Si riferisce forse a un ricorso del comitato
promotore del referendum per conflitto di attribuzioni tra poteri dello
Stato. Questa è l’unica strada di cui dispone per accedere alla Corte.
Ma anche così sarebbe impossibile rientrare nei tempi. Per di più, si
dovrebbe probabilmente chiedere alla Corte costituzionale di sollevare
davanti a sé stessa una questione incidentale di legittimità della legge
352/1970, che non consente di contrastare lo scippo da parte del
legislatore, per giungere a una sentenza cd additiva. Una via difficile,
e comunque non breve.
Che poi il Capo dello Stato neghi la
promulgazione della nuova legge per il vulnus costituzionale da essa
prodotto è tecnicamente possibile, ma improbabile. Il diniego di
promulgazione nella prassi si lega a una incostituzionalità manifesta,
ma senza dubbio avremo qualche costituzionalista pronto a negare che
tale sia il caso. Certo, il Presidente dovrebbe ricordare che il d.l.
25/2017, da lui emanato, era motivato con «la straordinaria necessità e
urgenza di superare l’istituto del lavoro accessorio al fine di
contrastare pratiche elusive».
Come dovrebbe ricordare che la
legge 49/2017, da lui promulgata, ha convertito senza modifiche. In ogni
caso, il diniego è superabile con una nuova approvazione.
Vediamo
con profonda rabbia un Parlamento, fiaccato nella sua legittimazione
sostanziale e vicino alla scadenza, dare l’ennesima prova di cecità
verso i diritti dei cittadini. Milioni di donne e di uomini hanno
firmato per i referendum contro la precarietà e lo sfruttamento. Con il
giochetto abrogare prima – ripristinare poi, sono derubati del diritto
di chiamare i loro pari – il popolo sovrano – a decidere. Mentre per la
salus reipublicae la partecipazione democratica è medicina essenziale,
molto più delle infinite chiacchiere sulla governabilità a tutti i
costi.