il manifesto 27.5.17
«La guerra al terrorismo non funziona», Corbyn infrange il tabù e sale nei sondaggi
Gran
Bretagna. Riparte la campagna elettorale dopo l'attentato di
Manchester. La media di tutte le intenzioni di voto dà i laburisti in
rapida crescita, 35% contro il 44% dei tories
di Leonardo Clausi
LONDRA
A cinque giorni dallo strazio terroristico presso l’Arena di
Manchester, la campagna elettorale più critica della storia politica
recente della Gran Bretagna ha riaperto in pieno. E mentre a Taormina
una Theresa May imbestialita rappezzava la special relationship, dopo
che l’amico americano aveva fatto trapelare alla stampa informazioni
preziose e immagini sensibili dell’attentato, Jeremy Corbyn ha
finalmente infranto il tabù atlantico che ha sempre fatto del partito
laburista un’appendice interventista di Washington in tutto speculare a
quella dei conservatori.
In un discorso tenuto nella sala di 1
Great George Street di Londra – la stessa in cui Ed Miliband tenne il
suo discorso di dimissioni dopo la sconfitta del 2015 – Corbyn l’ha
cantata chiara a tutti i sicofanti, dentro e fuori il suo partito, che
hanno bombardato di pace e democrazia il medio oriente rendendolo una
polveriera di risentimento antioccidentale, primo fra tutti l’ex sommo
leader Blair, per le cui porcherie militari aveva peraltro già chiesto
scusa al martoriato popolo iracheno.
«Molti esperti, compresi
professionisti nei nostri servizi di sicurezza e intelligence – ha detto
il segretario laburista – hanno indicato le connessioni tra le guerre
nelle quali siamo stati coinvolti o che abbiamo sostenuto o combattuto,
in altri paesi e il terrorismo sul territorio nazionale. I terroristi
saranno per sempre disprezzati e chiamati implacabilmente a rispondere
per le loro azioni. La colpa è la loro; ma se dobbiamo proteggere il
nostro popolo dobbiamo essere onesti su quanto minaccia la nostra
sicurezza». Parole indigeste per i tories, in particolare per il
ministro degli esteri Johnson, che le ha definite «mostruose».
Insomma,
quella che, attingendo all’immaginario dei fumetti Marvel, è stata
definita war on terror, non solo non funziona, ha denunciato Corbyn, fa
solo danni. Anche per questo, Brexit o non Brexit, è d’incalcolabile
importanza che in sella al paese più imperialistico d’Europa vada un
leder come lui e non l’ennesimo, volenteroso paggetto di Washington.
Parole,
queste del segretario, che non hanno mai fatto parte del lessico
laburista, e che vanno ad aggiungersi ai contenuti finalmente socialisti
del manifesto del partito, dal lancio del quale, poco più di una
settimana fa, il Labour ha cominciato una risalita che già profuma di
epico. Sì perché ora è ufficiale crederci, come lo è stato nell’estate
del 2015, quando l’astronave Corbyn atterrava in direzione e nello
sbigottimento generale dei tecnocrati che se ne erano impossessati: il
partito ora è a soli cinque punti dai tories. Sempre tanti, ma quasi
nulla rispetto a quei 24 sui quali Theresa May aveva deciso il
blitzkrieg delle elezioni anticipate pur di infliggere al paese altri
dieci anni di un toryismo determinato a portare avanti la riscossa dei
ricchi contro i poveri iniziata dalla coalizione con i Libdem, nel 2010.
Il
cosiddetto sondaggio dei sondaggi, la media di tutte le intenzioni di
voto, dà il partito laburista al 35% contro il 44 dei conservatori.
Sarà
stato questo imbarazzante dato, nonostante la sobria e compunta
gestione del dramma di Manchester da parte di Theresa May, a indurre
David Davis, il ministro per la Brexit, a cancellare ieri mattina
l’evento che doveva riaprire ufficialmente la loro campagna, al culmine
di una settimana disastrosa? Certo, mai come di recente i sondaggi si
sono rivelati del tutto fuorvianti. Ma il loro significato politico pesa
eccome: per Corbyn, il 35% significa cementare la sua leadership anche
in caso di sconfitta: Ed Miliband si era fermato al 30,4%. Ed è una
rimonta riflessa anche nelle quotazioni personali dei rispettivi leader:
laddove la «forte e stabile» May torreggiava sul «ridicolo e
incompetente» Corbyn con un inattaccabile 52%, ora il margine si sta
sciogliendo come l’Artico al sole: è al 17%.