il manifesto 27.5.27
Se un mostruoso Nerone risiede al Palatino
Beni
culturali. Lo sfregio del palco di 14 metri innalzato nella cosiddetta
Vigna Barberini per ospitare l'opera rock pagata anche dalla Regione:
l'area sarà intedetta ai turisti
di Valentina Porcheddu
Solo
qualche mese fa la Grecia ha rifiutato la proposta della casa di moda
Gucci per una sfilata sull’Acropoli di Atene. In febbraio i media
avevano parlato di un’offerta corrispondente a 2milioni di euro, ai
quali se ne sarebbero aggiunti un’altra cinquantina per i diritti
d’immagine: la manna dal cielo, secondo gli opinionisti che si sono
scatenati sul web accusando i Greci vessati dalla crisi economica di non
aver saputo cogliere l’occasione per finanziare nuovi restauri. Ma il
verdetto della Commissione archeologica centrale greca (Kas) aveva messo
un punto alla vicenda dichiarando che il carattere culturale unico dei
monumenti dell’Acropoli era in contrasto con l’evento ideato da Gucci.
In Italia, invece, pecunia non olet e la Soprintendenza speciale per il
Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area archeologica di Roma ha
accordato il permesso per un mega palco situato nella cosiddetta Vigna
Barberini, sul Palatino, dove dal 7 giugno al 31 luglio andrà in scena
l’opera rock Divo Nerone.
Alta quattordici metri e larga trentasei
(per complessivi mille metri quadrati) la poderosa struttura in ferro
svetta dalle rovine del più antico colle di Roma, deturpando il
paesaggio. Il mostruoso palco, al quale dovranno essere aggiunti gli
spazi per tremila spettatori, non sembra però scuotere l’animo del
ministro Franceschini che, al contrario, sottolinea l’aspetto economico
dell’«affare». Il canone d’uso dell’area sarà infatti di 250mila euro e
alla Soprintendenza andrà anche il 3% dell’incasso dei biglietti. Che
una parte dei guadagni siano destinati al recupero della coenatio
rotunda – la sofisticata sala da pranzo della Domus Aurea neroniana –
non dovrebbe giustificare un’operazione prettamente commerciale, che col
pretesto del restauro si fa beffa della tutela, della fruizione e
persino della ricerca scientifica.
L’area, infatti, sarà
interdetta a turisti e équipe di scavo sino alle fine dello spettacolo
diretto da Gino Landi con le scenografie di Dante Ferretti.
Un’interrogazione parlamentare denuncia inoltre che alla produzione del
musical avrebbe partecipato anche la Regione Lazio, con un investimento
di un milione e 50mila euro. Insomma, non solo si sequestra un’aerea
destinata alla comunità per il godimento di pochi (i prezzi partono da
poco meno di cinquanta euro) ma si utilizzano persino fondi pubblici per
la realizzazione di uno show che potrebbe nuocere alla sicurezza dei
monumenti nonché compromettere strati archeologici non ancora indagati.
Siamo molto lontani da quell’archeologia civile che contempla il
riutilizzo dei monumenti come sfida «vitale» del presente, siamo
lontanissimi da Epidauro, dove ogni estate migliaia di persone affollano
l’antico teatro e assistono alla rappresentazione di commedie e
tragedie, seduti sulla dura pietra, alla luce delle stelle, col canto
dei grilli che «disturba» gli attori, a perpetuare un rito millenario,
quello dell’arte che solleva dal peso di guerre e schiavitù e consegna
speranze. Riprodurre con effetti speciali l’incendio del 64 d.C. che
distrusse Roma sembra invece essere la priorità del Mibact. Ma un
novello Nerone, imberbe e dalla tipica bellezza hollywoodiana, cosa mai
potrà lasciare se non il gusto amaro di un’archeologia al servizio del
business?