il manifesto 25.5.17
Si scrive bellezza e si legge responsabilità
«Architettura e democrazia», di Salvatore Settis per Einaudi
Volgere lo sguardo su saperi diversi, è essenziale in una visione interdisciplinare
di Andrea Ranieri
Salvatore
Settis, nell’iniziare le sue lezioni all’Accademia di Architettura
dell’ Università della Svizzera Italiana di Mendrisio, ora raccolte nel
volume einaudiano Architettura e democrazia (pp. 166, euro 12), sente il
dovere di giustificare di fronte ai giovani architetti il fatto che uno
specialista, un grande specialista di archeologia e di storia
dell’arte, tenga un corso che si propone di affrontare temi che vanno
molto oltre la propria competenza disciplinare, e che riguardano la
storia, la filosofia, l’architettura l’urbanistica, il diritto.
Di
solito nell’Università l’interdisciplinarietà si fa mettendo uno
accanto all’altro in seminari improbabili i diversi specialismi, dando
luogo il più delle volta a un defatigante «dialogo fra sordi».
SETTIS
DECIDE di lanciare il cuore oltre l’ostacolo accostando lo sguardo su
saperi diversi, cercando di fornire ai giovani architetti, e a chi
legge, una visione complessiva dei dilemmi e dei problemi che si
presentano quando si tratta di progettare un edificio, di pensare uno
spazio, di dare forma alla città.
Ciò che rende possibile
l’attraversamento di saperi diversi è per Settis la politica, nel suo
senso più alto, come discussione libera e aperta sulla forma e il senso
della polis, e dentro la politica la scelta valoriale di mettere al
primo posto il punto di vista di chi soffre della divisioni, dei ghetti,
delle separatezze, che segnano la città contemporanea. L’architetto per
far questo deve pensarsi prima di tutto come cittadino, e dare il suo
contributo per costruire, assieme a tutti quelli la cui vita è
impoverita dalla crescita deregolata e dalla crisi delle città, lo
spazio pubblico da cui opporsi alle derive del presente, e innestare le
«azioni popolari» che oggi sembrano le uniche in grado di prospettare
uno sviluppo diverso.
VIENE IN MENTE a questo proposito l’invito
che Edward Said rivolgeva agli intellettuali di farsi «dilettanti» di
più saperi. Di pensare e agire cioè «per amore di un disegno di più
vasto respiro, che stimola un interesse inesauribile, non ultimo quello
di superare confini e barriere, rifiutandosi di rimanere reclusi entro
una competenza, e battendosi per idee e valori che trascendono i limiti
di una professione». Cercando sempre «di dire la verità», che «in una
società come la nostra ha soprattutto lo scopo di configurare una
situazione migliore, più aderente ad alcuni principi etici- pace,
riconciliazione. alleviamento della sofferenza- da applicare a realtà
conosciute».
QUESTA CAPACITÀ di integrare saperi e competenze si
scontra con la separatezza con cui questi problemi sono affrontati dalla
politica istituzionale. Paesaggio, territorio, beni culturali,
ambiente, suoli agricoli sono trattati e normati separatamente. Ma non
si dovrebbe mai dimenticare che «questi termini definiscono di fatto uno
stesso spazio di vita delle comunità umane, e che pertanto ogni
separata regolazione deve essere esplicitamente e accortamente
raccordata con le altre». Altrimenti nella schizofrenia delle norme e
nei conflitti fra le autorità pubbliche che dovrebbero tutelarle
«l’interesse privato dei singoli facilmente prevale sul bene comune».
Salvatore
Settis propone a noi e ai giovani architetti uno sguardo che abbraccia
l’insieme dei problemi, tenuti insieme dalla storia, come capacità di
leggere i modi in cui questi temi sono emersi, e per indagare come
ambiente, suolo agricolo, paesaggio, architettura, abbiano trovato
sintesi nella forma delle diverse città e nel loro rapporto col
territorio. Cosa più che mai necessaria oggi, quando «la tendenza
globalizzante impone a tutto il pianeta un unico modello di sviluppo
urbano, le cui componenti inseparabili sono la verticalizzazione delle
architetture, la megalopoli e la segmentazione interna delle città, con
le nuove forme di apartheid sociale».
La conservazione dei beni
culturali e del paesaggio e il concetto stesso di «patrimonio» sono un
elemento fondamentale per resistere a questa tendenza. Ma Settis ci
propone di invertire le priorità rispetto al modo con cui questo
concetto si è formato e ha dato vita alla legislazione in merito.
Si
è partiti infatti dai beni artistici e architettonici, per passare poi
al paesaggio come bellezza naturale, con una concezione prevalentemente
estetica del bene naturale o culturale da preservare.
LE URGENZE
del nostro tempo, che Settis ricava in gran parte dall’enciclica Laudato
sii di papa Francesco, ci impongono di mettere al primo posto nella
scala della tutela l’ambiente, e poi la campagna senza cui la città si
slabbra e deperisce, e poi le periferie, delle città e del mondo, in cui
vivono i poveri della terra.
È in questo quadro e con questo
orizzonte di priorità che le bellezze artistiche, la densità storica dei
centri delle nostre città assumono un valore per tutti, diventano parte
dell’impegno complessivo per costruire un mondo più degno e vivibile.
Si tratta insomma di compiere una vera e propria «socializzazione del
paesaggio», mettendosi dal punto di vista di chi la città globalizzata
mette ai margini. «Perché – ed è questo il messaggio più importante che
ci viene da Salvatore Settis – non c’è bellezza senza responsabilità e
senza storia».