sabato 20 maggio 2017

Il Manifesto 19.5.17
Di Massimo Serafini, Marina Turi


Socialisti spagnoli al voto delle primarie: due linee un disastro
Psoe. Iscritti domenica al voto.
Tre i candidati, ma la sfida è tra Pedro Sánchez e Susana Díaz, al centro il rapporto con il Pp. 


Barcellona
Il Psoe è come un violino: si tiene con la sinistra, ma si suona con la destra. La battuta che circola in rete riassume il dibattito interno al partito socialista spagnolo. Per gli iscritti è arrivato lo scivoloso momento delle primarie per scegliere chi, e con quale idea politica, dirigerà il Psoe. ORMAI DA MESI si discute e ci si divide su due linee contrapposte, una personificata dall'ex segretario Pedro Sánchez, che chiede di smetterla con il sostegno socialista al mal governo di Rajoy e del Partito Popolare. L'altra linea, sostenuta da Susana Díaz, leader dei socialisti andalusi, è invece favorevole a lasciar governare, senza troppi intoppi, Rajoy e la sua destra. Ma c'è anche un terzo candidato in gara, Patxi López, che cercherà di accumulare voti proponendosi come l'unico capace di evitare la spaccatura del Psoe, con la sua idea che non si può essere rappresentante solo di una delle metà del partito. La casa socialista spagnola è drasticamente divisa e quello che potrebbe succedere nell'immediato forse non sarà tanto diverso da quello già visto negli ultimi anni per la socialdemocrazia in Grecia, in Italia, in Olanda, nel Regno Unito, in Francia e ora anche in Germania. SÁNCHEZ RIVENDICA di rappresentare la parte rossa del partito. Incontra consenso nella maggioranza della base che aveva mal digerito il colpo di mano con cui, nell'ottobre scorso, venne dimissionato da segretario per facilitare l'astensione dei socialisti necessaria a Rajoy nel Congresso dei Deputati. Susana Díaz può contare sull'appoggio di gran parte dell'apparato paralizzante del partito, dei cosiddetti baroni, da Gonzales a Zapatero, e di tutti i media tradizionali. Nella raccolta di appoggi alla candidatura, Sánchez ne ha ottenuti meno di Díaz , sebbene abbia prevalso in dieci regioni e perso di misura in due. Determinante sarà l'Andalusia, il principale bacino elettorale e di militanti del Psoe. L'ESITO FINALE rimane incerto. Il contesto sociale e politico maturato nelle ultime settimane rafforza Pedro Sánchez e indebolisce Susana Díaz. La Spagna è percorsa da un'ondata di indignazione popolare per il susseguirsi di fenomeni corruttivi di cui è protagonista il partito di governo. Il Partido Popular in caso di elezioni, secondo gli ultimi sondaggi, sembra allontanarsi sempre di più dalla maggioranza assoluta del Congresso dei Deputati, tanto che neanche con la somma di possibili alleati potrebbe governare. E cresce tra gli elettori conservatori l'interesse per l'astensione. Vita dura quindi per Susana Díaz che deve convincere gli iscritti socialisti della bontà della scelta di continuare a lasciar governare il Pp, ora che i suoi dirigenti sono travolti dagli scandali. Siamo di fatto in presenza di un salto di qualità nella dimensione che ha assunto in Spagna la commistione fra politica e affari. La situazione ricorda l'Italia di Mani Pulite, che portò all'azzeramento della prima repubblica e alla conseguente dissoluzione di un'intera classe dirigente. PODEMOS, di fronte alla decadenza istituzionale, ha presentato una mozione di censura a Rajoy, perché il parlamento lo sfiduci. L'attuale gruppo dirigente del Psoe non intende appoggiarla, dando ancora quel sostegno al Pp che difficilmente passerà inosservato nella base socialista. A consigliare discontinuità non c'è solo la trama corruttiva. È venuta meno la principale motivazione che spinse i dinosauri socialisti a cacciare Sánchez per non ostacolare il governo Pp. Si disse allora che l'astensione socialista, così determinante, avrebbe permesso di strappare concessioni importanti per il paese. Così non è andata. Non è stata rimessa in discussione la legge di Sicurezza Cittadina – la ley mordaza – che limita il diritto di informazione e protesta, aumentando denunce e condanne per ordine pubblico. Deludente è il bilancio sul terreno sociale e ambientale. La promessa deroga della riforma sul lavoro non c'è stata, anzi la tanto vantata crescita del Pil al 3%, produce, grazie a quella legge, solo precariato e disoccupazione. Continua il paradosso, o meglio il dramma sociale, di una Spagna sempre più ricca, mentre gli spagnoli sono sempre più poveri. L'agenzia tributaria, nel suo rapporto, ha evidenziato che il guadagno derivante dal lavoro scende dai 323 milioni di euro del 2012 ai 317 del 2016, con oltre 4 milioni di famiglie sulle soglia di povertà. Non ci sono dunque contropartite, ma solo subalternità e obbedienza alla nota e diffusa ricetta liberista europea. Governare con le destre moderate favorisce solo la crescita di populismi e di una destra razzista, condannando all'irrilevanza i partiti socialisti. Le primarie socialiste sveleranno fino a che punto socialiste/i spagnole/i vogliono continuare ad agonizzare.