Il Fatto quotidiano 17.5.17
di Stefano Feltri
Il ritorno di Romano Prodi per un nuovo centro-sinistra
Il nuovo libro dell’ex premier è il programma per
un governo di centrosinistra: servizio civile, tassa di successione, meno chef e più industria
Oltre Renzi e M5S, ecco l’alternativa: il Prodi 4.0
Roma
Il nuovo libro di Romano Prodi, in uscita oggi, non è il saggio di un intellettuale, ma un programma di governo. Il piano inclinato (Il Mulino) è quello su cui sta rotolando l'Italia: in fondo, nel 2018, si intravedono solo un governo deciso da Matteo Renzi, sempre più sfibrato da fallimenti passati e inchieste presenti, o un esperimento centrato sul Movimento 5 Stelle dalle incerte prospettive. E allora ecco Prodi, che ha costretto le tipografie agli straordinari per arrivare subito in libreria, forse pensando alle elezioni anticipate in autunno. A differenza di Renzi e del movimento di Beppe Grillo, impegnato in consultazioni web su punti programmatici piuttosto vaghi, Romano Prodi un progetto per l'Italia ce l'ha, solidamente di centrosinistra. Ha anche una visione del Paese: non abbiamo le "armi atomiche", cioè Google, Amazon, Facebook, neppure le "corazzate" (Volkswagen, Nestlé, Siemens). Abbiamo soltanto "soldati", alcuni di questi "agili e capaci": piccole e medie imprese in settori scomparsi dallo storytel ling. Meccanica, componentistica, servizi alla persona. Ma abbiamo anche un problema di disuguaglianza profondo che si risolve soltanto con correzioni strutturali, bonus o reddito di cittadinanza non bastano. LA DIAGNOSI. Secondo Prodi ci sono due priorità: aumentare la produttività e risollevare la domanda interna, "attraverso un sostegno deciso a salari e pensioni ". Senza troppi convenevoli, Prodi si sbarazza di tutte le parole d'ordine di questi anni. Via tutta la retorica renziana sulla bellezza, le eccellenze italiane da riscoprire, il turismo come salvezza, il Made in Italy come fonte di orgoglio e petrolio culturale da estrarre: "Non ho nulla contro tutto ciò perché amo il buon cibo e il riposo confortevole, ma penso che le risorse vadano indirizzate nella giusta proporzione richiesta dalle necessità presenti e dalle prospettive di occupazione futura". Dimenticate anche l'oscillazione del Movimento 5 Stelle tra slogan anni Ottanta–piccolo è bello, le micro imprese sono perfette così – e previsioni apocalittiche alla Domenico De Masi su un futuro senza lavoro e con troppi robot: nella globalizzazione possiamo starci, se non da protagonisti almeno da comprimari, ma soltanto se capiamo che le imprese sono organizzazioni private con una forte valenza pubblica. E quindi è responsabilità di tutti, e della politica, occuparsi del loro destino. Esempi concreti: una difesa dei settori strategici per evitare lo shopping straniero, incentivare la nascita di fondazioni cui conferire le azioni per evitare che il passaggio generazionale distrugga le imprese famigliari. Alle imprese serve anche un "capitale umano" adeguato: una istruzione tecnica adatta ai tempi è un vecchio pallino del Professore che propone il modello tedesco, una rete di "istituti specializzati (Fraunhofer)" nei vari settori di tecnologia applicata: dall'elettronica ai materiali alla chimica all'automazione alla biotecnologia ai risparmi energetici nell'edilizia. Per guidare questa transizione sono cruciali quei sindacati che renzismo e M5S vogliono relegare nei musei. LE MISURE STRUTTURALI. Ridurre la disuguaglianza è l'obiettivo di fondo. Non per ragioni (solo) di giustizia, ma perché è tramite la redistribuzione che si possono risolvere molti problemi. Primo punto: l'imposta di successione. In Italia non c'è sotto il milione di euro, sopra è al 4 per cento. In Francia a franchigia è a 157.000 euro e le aliquote tra il 4 e il 40 per cento. In Germania al 7 per cento per beni sotto i 600.000 euro e 30 per cento sopra. Basta adottare una via di mezzo tra questi sistemi e in Italia il gettito sale da 500 milioni a 1,5 miliardi. Risorse da usare per l'istruzione, per esempio. Perché il programma di Prodi ha bisogno di parecchie risorse: per il servizio civile esteso a tutti, o almeno a metà di quei 1,1 milioni di giovani (18-24 anni) che non studiano e non lavorano, costa 1,8 miliardi all'anno. Parecchio ma, osserva Prodi, tenere questi ragazzi improduttivi oggi determina un costo per l'Italia di 30-45 miliardi l'anno. WELFARE. Altri 10 miliardi servono per intervenire sulle pensioni: invece che assegnare un reddito di cittadinanza, Prodi propone di rispondere alla maggiore angoscia diffusa –un reddito dopo la fine dell'età lavorativa – rendendo al contempo più competitive le imprese. L'idea è di avere un'unica aliquota contributiva al 27 per cento (la più bassa delle attuali) e di garantire a tutti i lavoratori che hanno versato almeno 20 anni di contributi una pensione aggiuntiva rispetto a quella maturata con la differenza a carico della fiscalità generale. I lavoratori sarebbero sicuri di non finire in povertà, le imprese avrebbero una riduzione del costo del lavoro (a salari invariati). Sono tanti 10 miliardi, ma è la stessa cifra che Renzi ha impegnato per rendere permanente il bonus da 80 euro al mese che così pochi risultati ha prodotto. LE FAMIGLIE. La casa è il dramma di molte famiglie: capitale immobilizzato che non rende, mutui insostenibili in caso di perdita del lavoro, conseguenti sofferenze bancarie che zavorrano i bilanci. Il programma Prodi prevede un fondo pubblico che acquisterebbe dalle famiglie le case che non riescono più a pagare: gli inquilini perderebbero la proprietà, ma scambierebbero un mutuo con un contratto a lunga scadenza con un canone sostenibile (2.000 euro l'anno). Risultato: le famiglie non finiscono per strada, le banche non devono disfarsi dei mutui svendendoli a società di recupero crediti. Più volte nel libro Prodi accenna ai primi passi compiuti su alcuni di questi temi nei suoi due precedenti governi, 1996 e 2006. Forse gli piacerebbe finire il lavoro. © RIPRODUZIONE RISERVATA