Corriere 30.5.17
Corbyn ora sogna la grande rimonta
Corsa aperta per le elezioni dell’8 giugno nel Regno Unito. Laburisti in crescita.
di Luigi Ippolito
Londra
Ormai al quartier generale del partito conservatore se lo aspettano: il
sondaggio choc che dà i laburisti in vantaggio potrebbe arrivare già in
settimana. E forse il sorpasso si sarebbe già verificato, se
l’attentato di Manchester non avesse congelato per qualche giorno la
campagna elettorale.
La corsa al voto britannica ha preso una
dinamica che nessuno aveva previsto. Quando Theresa May ha convocato le
elezioni anticipate per l’8 giugno, il vantaggio del partito di governo
su quello d’opposizione era di venti punti percentuali. Anche per questo
la premier ha deciso di smentire se stessa e andare alle urne: si è
resa conto di avere l’opportunità di conquistare una maggioranza
schiacciante e ritrovarsi le mani libere nei negoziati sulla Brexit.
Ma
poi qualcosa è successo. I laburisti hanno cominciato a macinare
consensi, lo scarto si è ridotto fino agli attuali sei-sette punti e
qualcuno ha cominciato a pensare l’impensabile: la barbetta di Jeremy
Corbyn che si affaccia dal portone di Downing Street. Una prospettiva
per molti irrealistica, per alcuni catastrofica: la sterlina nei giorni
scorsi ha perso terreno alla sola ipotesi.
L’ultimo ad
aspettarselo, probabilmente, è proprio il leader laburista. Lui non ha
mai corso per vincere, neanche quando si è candidato alla guida del
partito. Ha passato una vita a militare nelle file dell’ultrasinistra,
votando quasi sempre contro la stessa linea del suo gruppo parlamentare.
E quando nel settembre del 2015 ha messo il suo nome per la prima volta
nella lista per la leadership laburista, lo ha fatto pensando a una
candidatura di bandiera. Ma è accaduto l’imprevisto: la base del
partito, stufa di blairiani e post-blairiani che non vincevano più
elezioni nè facevano un’opposizione convincente, si è mobilitata a suo
favore e lo ha plebiscitato alla testa del Labour, fra la costernazione
dei moderati che occupano la maggioranza dei seggi a Westminster.
Il
fenomeno Corbyn ricorda l’insurrezione di Bernie Sanders alle primarie
democratiche in America, che costò quasi la candidatura a Hillary
Clinton. Solo che a Londra i rivoluzionari hanno occupato il quartier
generale. Spostando il partito su posizioni socialiste radicali.
Corbyn
è apparso nella prima fase come un leader incapace, particolarmente
inefficace nei dibattiti parlamentari in qualità di capo
dell’opposizione. Sembrava aver condannato i laburisti alla
marginalizzazione, movimento estremista di protesta ineleggibile alla
guida del Paese. E i sondaggi disastrosi confortavano questa tesi. La
performance peggiore è arrivata l’anno scorso in occasione del
referendum sulla Brexit, quando Corbyn non ha voluto (o potuto) prendere
una posizione chiara: e l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue è
probabilmente una sua responsabilità. Ma quando poi i deputati
esasperati hanno provato a disarcionarlo in autunno, la base dei
militanti lo ha ricondotto trionfalmente alla guida del partito.
Perché
in realtà è ormai il gruppo parlamentare che sembra scollegato dal
Paese reale, o almeno da quella parte che si riconosce nei laburisti.
Che non ne può più delle politiche di austerità imposte dai conservatori
dopo la crisi finanziaria e reclama una svolta in senso sociale.
Per
questo il manifesto elettorale di Corbyn, paragonato dai commentatori
alla «lunga nota di suicidio» di Michael Foot del 1983, che portò a una
disastrosa sconfitta, ha incontrato invece il favore di ampie fette
dell’elettorato. Che a differenza della City vuole i servizi essenziali
in mano pubblica, più spese per la sanità, misure a favore degli anziani
e dei giovani.
Corbyn sarà debole nei corridoi di Westminster, ma
è nel suo elemento quando è in campagna elettorale. I suoi comizi sono
un successo ed è riuscito a mobilitare in particolare le donne e gli
studenti, promettendo tra l’altro l’abolizione delle rette
universitarie. Lo ha aiutato anche la figuraccia dei conservatori, che
si sono dovuti rimangiare uno dei punti chiave del loro programma, che
minacciava gli anziani di dover vendere la casa per pagarsi
l’assistenza. E il ritornello di Theresa May sulla «leadership forte e
stabile» comincia ormai a suonare come un disco rotto.
Resta da
vedere quanto la rimonta certificata dai sondaggisti si concretizzerà
l’8 giugno nelle urne. Ma certamente i moderati del partito che
speravano segretamente in una sonora sconfitta per liberarsi di Corbyn
dovranno ricredersi: se il Labour andrà al 35-36 per cento, ossia molto
oltre il 30 delle elezioni del 2015, Corbyn non avrà alcuna ragione per
dimettersi. E se continuerà la sua volata, l’Inghilterra potrebbe vedere
le sue stazzonate giacchette di tweed appese all’attaccapanni del
numero 10 di Downing Street.