sabato 29 aprile 2017

Il Fatto quotidiano 25.04.2017
Il tracollo
Lo spettro Francia, Olanda, Austria, Irlanda, Grecia, Finlandia: il Pse a rischio scomparsa
Addio ai partiti del socialismo europeo
di Marco Palombi


In Europa s’aggira uno spettro. Non è il comunismo di Marx, ma il socialismo d’oggi e solo nel senso che è oramai ridotto a una presenza impalpabile. Ogni elezione è un altro passo verso il tracollo di quei partiti (quelli riuniti nel Pse) che, nel dopoguerra, hanno innervato il modello socialdemocratico europeo dandosi poi da fare, da almeno vent’anni in qua, per distruggerlo. Dallo scoppio della crisi in poi, con qualche sporadica eccezione (Portogallo, Germania), le grandi sigle del socialismo europeo tracollano nelle urne assai più che i partiti del centrodestra (popolari e affini): se uno, d’altronde, ha come scopo costitutivo la difesa e la promozione dei diritti sociali non può gestirne la cancellazione senza che il suo elettorato lo punisca. Il 6% racimolato da Benoît Hamon in una Francia che usciva da una presidenza socialista non è che l’ultimo caso. In Grecia, per dire, è successo questo: il Pasok - dal 48% dei voti preso alle Politiche del 1981 fino al 43,9% del 2009 - non era mai sceso sotto al 38% dei voti, governando in sette legislature su 11. Nelle due elezioni del 2015, quando il passaggio della Troika aveva ormai dispiegato i suoi effetti, ha preso il 4,6% (a gennaio) e il 6,2% (a settembre) regalando gran parte del suo bacino elettorale e dei suoi quadri politici a Syriza. Anche un altro Paese visitato dalla Troika, l’Irlanda, ha in sostanza cancellato i laburisti: a febbraio 2016, dopo cinque anni al governo, hanno ottenuto il 6,6% dei voti, perdendo quasi 13 punti rispetto al 19,4% ottenuto nel 2011. Più o meno quel che è successo qualche settimana fa in Olanda, dove il locale partito laburista (il Pvda del simpatico presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem) ha racimolato il 5,7% dei voti arrivando dal 24,8% delle elezioni del 2012. Un tracollo epocale. In Austria, invece, le ultime Presidenziali hanno fatto strame dei due partiti (socialista e popolare) che si erano divisi il governo per decenni: nessuno dei due è arrivato nemmeno al ballottaggio – vinto poi dal verde Van der Bellen – ed entrambi si sono fermati all’11% dei consensi. Il declino del partito socialdemocratico austriaco è istruttivo: era più o
meno al 50% negli anni Settanta e da allora ha perso dieci punti a decennio (nel 2013, pur
essendo il primo partito, era al 26%). Anche in Finlandia i socialdemocratici non se la passano
bene: nel 2000 e nel 2006 avevano eletto la presidente Tarja Halonen, nel 2012 al ballottaggio
c’erano due partiti di destra e quello del Ps s’era fermato al 6,2% dei voti. Pure alle Politiche le cose non vanno benissimo: nel 2003 i socialdemocratici avevano il 24,5% dei consensi; nelle tre elezioni
successive sono passati al 21,4%, poi al 19,1% e infine (nel 2015) al 16,5%.
Lo stesso in Spagna, per la locale filiale del Pse: i socialisti spagnoli (Psoe) non scendevano
sotto al 30% dei voti dalle prime elezioni dopo la dittatura; erano al 44% nel 2008 (11,2
milioni di voti per il trionfo di Zapatero), nel 2011 erano già scesi al 28,8% e alle ultime Politiche
erano al 22% (5,4 milioni di voti), mentre alla loro sinistra Podemos e IU superavano
il 21%. Ora il Psoe è spaccato: una buona metà appoggia il governo di centrodestra
di Mariano Rajoy. E pure a Londra Jeremy Corbyn non si sente tanto bene...
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