sabato 29 aprile 2017

La Repubblica, 24.04.2017
Elezioni francesi: La disfatta della sinistra e del Psf
La corsa all’Eliseo
Mélenchon
Il leader di France insoumise si ferma sotto il 20% “La sinistra siamo noi, non dimenticatelo”
Affonda la gauche ma non passa “Non dirò per chi bisogna votare”
di Fabio Tonacci


Dal nostro inviato
Parigi. Ci hanno creduto fino alla fine. Résistance, résistance, résistance, cantano i sostenitori di France insoumise quando si presenta davanti ai microfoni non il loro leader Jean-Luc Mélenchon, ma l’uomo dei numeri della sua campagna elettorale. «Stiamo calmi, non diamo retta ai sondaggi. Mancano ancora i voti delle grandi città. Stiamo calmi...». E per quarantacinque minuti buoni la soirée électorale al bar Belushi’s contempla un possibile lieto fine, dopo i primi exit poll che li davano al 19.5 per cento.
Poi alle 21.54 è uscito lui. Di nuovo résistance, résistance, résistance. Ecco Mélenchon, alias “el comandante” alias “il Chavez francese”. Gli hanno affibbiato tanti nomignoli durante la campagna elettorale, quando comizio dopo comizio (è un oratore oggettivamente formidabile), sondaggio dopo sondaggio, ha scalato la gauche francese drenando voti ai socialisti di Hamon. «Sono orgoglioso di voi. Quando i risultati saranno noti, li rispetteremo», esordisce davanti ai suoi. Il bar Belushi’s precipita un’altra volta nel silenzio. «Non ho ricevuto alcun mandato da chi ha appoggiato la mia candidatura per esprimermi a nome loro. Ciascuno sa qual è il suo dovere». Applausi poco convinti. E’ andata bene, poteva andare meglio. Nel 2012 Mélenchon aveva preso l’11 per cento alle presidenziali. Ieri alle 23 per gli exit poll era intorno al 19,2 per cento. Ha vinto oltremare a Martinica e a Guyane. Ha distrutto il socialista Hamon, questo sì. Il partito socialista non va al ballottaggio delle presidenziali, e i consensi che ha perso se li è guadagnati quasi tutti Mélenchon. Intercettando la protesta, affascinando con l’idea di una Sesta Repubblica e col rifiuto dell’austerità dell’Unione Europea. La gauche adesso è lui, ma la partita dell’Eliseo se la giocano gli altri. Per il ballottaggio ognuno sa cosa deve fare, dice dunque “el comandante”. Patrice Finel, 60 anni e dirigente dell’istituto delle case popolari di Parigi, un’idea ce l’ha già. «Tra la peste fascista e il colera liberale, scheda bianca». Si aggira deluso bevendo un’ultima pinta di birra. «Non è colpa nostra se la sinistra non ha passato il turno: il presidente Hollande a screditato lo stesso concetto di sinistra». «Mi chiamo Camille Barred, ho 58 anni e odio Emmanuel Macron». Si presenta così questa bibliotecaria con i capelli rossi e una bandiera arcobaleno sulla maglia. Quindi Marine Le Pen? «No, non voto proprio. Non mi piego né alla destra liberale di Macron, né alla destra reazionaria». Se foste stati uniti coi socialisti, sareste voi al ballottaggio. «Loro sono i traditori della sinistra, non noi. Guardate come hanno calpestato i nostri diritti dei lavoratori con la legge El Khomry». Al netto di un clamoroso ribaltamento dei risultati nella notte, la sfida dei populismi l’ha vinta il Front National. Mélenchon esce dal Belushi’s bar così come è entrato, tra i cori. Gli portano una sedia, ci sale in piedi. «La sinistra siamo noi, non dimenticatelo ». Di nuovo tribuno in mezzo al suo popolo. Résistance, résistance, résistance.
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