La Stampa9.2.1
“Liberi di uscire dall’Islam”, svolta storica del Marocco
Nessuna
condanna a morte per l’apostata, e libertà di scelta per chi vuole
abbracciare altre fedi: così si è espresso per la prima volta il
Consiglio superiore degli Ulema in Marocco, aprendo la strada al
riformismo dell’Islam
di Karima Moual
Nessuna
condanna a morte per l’apostata e libertà per coloro che dall’Islam
vogliono uscire e abbracciare altre fedi. E’ una posizione storica,
quella assunta dalla massima rappresentanza religiosa del Marocco, il
Consiglio superiore degli Ulema, che continua coraggiosamente ad aprire
la strada al riformismo in casa Islam - almeno la propria - senza ombre o
ambiguità. Si punta dunque su un livello alto della discussione, anche
facendo un passo indietro rispetto al passato. Il Consiglio infatti
rigetta una sua precedente fatwa del 2012 secondo la quale i marocchini
colpevoli di apostasia avrebbero un unico destino: la morte. Una regola
comune per tutti i Paesi musulmani, ma prevista in varie forme dalle
norme giuridiche in vigore. In Marocco, per esempio non è contemplata la
pena di morte, ma il codice penale parla di detenzione per l’apostata
che può arrivare fino a 3 anni.
Una posizione, però, che già
all’epoca aveva fatto discutere molto in un Paese che del pluralismo
religioso ha fatto il proprio fiore all’occhiello, e che più di altri vi
presta attenzione e porta avanti un lavoro immenso per difendere la
propria posizione e visione di un «Islam moderato». Il Consiglio degli
Ulema dunque, cerca di tracciare una linea chiara su un tema di grande
attualità, politicamente e socialmente scomodo e che in futuro si
potrebbe presentare come una trappola micidiale perché nel Paese si sono
rivelati, senza più filtri, abitanti passati dal sunnismo allo sciismo
(si sono aperti solo lo scorso anno i primi centri sciiti) così come al
cristianesimo o, addirittura, all’ateismo. Voci che nell’ultimo periodo
sono uscite dalla clandestinità sfidando l’ipocrisia di chi li conosce,
ma non li vuole riconoscere.
Con la questione “apostasia”, il
consiglio degli Ulema affronta un punto da sempre pressoché intoccabile
nel dibattuto interno all’Islam, ma difficile da controbattere
ufficialmente nella sua interpretazione. Eppure nel Corano non si parla
direttamente di apostasia, si rimproverano più volte coloro che
rinnegano l’Islam, ma non si prevede per loro alcun castigo terrestre
per altrui mano. Certo, Dio promette un grande castigo a chi abbandona
la religione, ma un castigo - come nelle altre religioni peraltro - che
avverrebbe nell’aldilà e non certamente in Arabia Saudita e per mano di
un boia, come vuole l’Islam più oscurantista che trova appoggio in certe
interpretazioni della Sunna.
Il nodo infatti è contenuto in un
famoso hadith che sentenzia «chi cambia religione uccidetelo». Quanto
basta per far giungere la condanna di morte agli apostati sino ai nostri
giorni. Non più per gli Ulema del Marocco, che argomentano così la loro
nuova fatwa: «La comprensione più accurata, e la più coerente con la
legislazione islamica e la Sunna del Profeta, è che l’uccisione
dell’apostata significava l’uccisione del traditore del gruppo,
l’equivalente di tradimento nel diritto internazionale, gli apostati in
quell’epoca rappresentavano i nemici della Umma proprio perché potevano
rivelare segreti agli avversari». Insomma, un contesto bellico e ragioni
più politiche che religiose alla base della ferma condanna per
apostasia.
Tutti riferimenti che, ancora di più, fanno emergere
questa fatwa come un passo inedito e sono incoraggianti perché
contestualizzano storicamente un fatto, rivalutandolo nel nostro
presente. Se l’Islam ortodosso, in tutti gli angoli del mondo,
procedesse nell’analisi e nell’interpretazione su questa linea, si
farebbero molti passi in avanti di cui i musulmani hanno urgente
bisogno, oggi più che mai.