La Stampa 8.2.17
Addio al filosofo Tzvetan Todorov
Celebrò l’uomo contro i totalitarismi
Nato a Sofia, allievo di Barthes, difese i valori dell’Illuminismo dagli oscurantismi e indagò l’universo concentrazionale
di Massimiliano Panarari
Uno
studioso versato negli attraversamenti disciplinari e predisposto alla
contaminazione. Un profondo «umanista contemporaneo» (come è stato
definito in Francia) e un indomito intellettuale pubblico, europeista
convinto. Ecco l’identikit del teorico della letteratura, storico delle
idee («etichetta» che lui stesso preferiva a quella di filosofo) e
saggista Tzvetan Todorov, nato a Sofia nel marzo del 1939 e scomparso
ieri a Parigi all’età di 77 anni. Una figura, insignita di molti premi e
riconoscimenti per le scienze sociali, votata alla rottura degli
steccati tanto nel sapere quanto nel modo di pensare le società e
l’umanità.
Todorov cominciò a muovere i suoi passi sulla scena
intellettuale internazionale, dopo la laurea in filologia in patria, con
il trasferimento nel ’63 per il dottorato a Parigi, dove fu allievo del
celebre semiologo Roland Barthes, e approdò al Cnrs (il Centre national
de la recherche scientifique), intraprendendo una brillante carriera
che lo porterà a diventare direttore del Centre de recherches sur les
arts et le langage presso l’Ecole des hautes études en sciences
sociales. Fuoriuscito da uno dei Paesi più «osservanti» e liberticidi
del blocco del socialismo reale, di cui descrisse in varie occasioni la
perversa capacità di annullamento dei valori (e del valore)
dell’individuo, Todorov svolse un ruolo essenziale nell’importazione
nell’Europa occidentale della metodologia di analisi dei testi letterari
sviluppata dalla scuola del formalismo russo degli Anni Venti (di cui
curò una famosa antologia, pubblicata in Italia nel ’68 da Einaudi). Una
proposta culturale che incontrò gli immediati favori dello
strutturalismo transalpino, verso il quale si orientò da subito il
lavoro di Todorov, con la sua ricerca di una scienza della letteratura
(la «poetica») in grado di formalizzare le norme astratte e le leggi
fondamentali della narrazione. Una visione, appunto, tipicamente
strutturalista, veicolata anche attraverso la rivista di teoria
letteraria Poétique da lui fondata, nel 1970, insieme a Gérard Genette,
ma che saprà rendere via via meno ortodossa nel corso del decennio; in
seguito, l’entrata in crisi della critica di impronta semiologica lo
indurrà a spostare l’asse della ricerca verso il simbolismo linguistico e
una concezione del testo in cui la centralità della «struttura» (e del
«sistema») lasciava progressivamente il passo a una sua visione più
«dialogica», fondata sulla consapevolezza della rilevanza della
molteplicità delle influenze culturali e del confronto tra gli autori
(documentata già da un libro come l’Introduzione alla letteratura
fantastica, Garzanti).
Il congedo dall’approccio strutturalista lo
conduce, negli Anni Ottanta, al nuovo periodo del lavoro sulla storia
delle idee, costellato di saggi quali La conquista dell’America (uscito
in Italia nel 1984 sempre da Einaudi, e dedicato all’annullamento delle
culture indigene amerindie nel nome della colonizzazione) e Noi e gli
altri sulle riflessioni, nel pensiero francese tra Settecento e
Novecento, intorno al tema della diversità umana. Un’analisi incrociata e
comparata, come d’abitudine, che ha fornito il sostrato per la sua
nozione, basata su un’idea di moderazione e sulla razionalità, di un
«umanesimo ben temperato».
Queste posizioni lo porteranno, negli
Anni Duemila, a individuare ne Lo spirito dell’Illuminismo (Garzanti,
2007) il lascito migliore della storia europea e il solo antidoto al
dilagare dell’irrazionalismo e del revanscismo neoidentitario e
xenofobo. L’intellettuale franco-bulgaro era entrato da qualche tempo
nella sua fase di pensatore morale ed etico, che si era cimentato, nel
volume Di fronte all’estremo (Garzanti, 1992), con l’abisso
concentrazionario e il progetto di disumanizzazione attuato dai
totalitarismi (che non è archiviato una volta per tutte, metteva in
guardia, perché l’orrore rimane sempre in agguato sotto altre spoglie).
Il
Todorov degli ultimi due decenni è stato il fiero avversario della
dottrina dello scontro di civiltà di Samuel Huntington, la firma di
Libération che interveniva in maniera «militante» sui temi
dell’attualità, e la voce coraggiosa che si faceva puntualmente sentire
in questa nostra epoca di pruriti neototalitari rossobruni e di
populismi, avendo – lui che disvelò la protervia e il «nichilismo» del
comunismo della cortina di ferro – i titoli esemplari per farlo.
Todorov
è stato anche lo studioso multidisciplinare di Benjamin Constant e di
Rembrandt, lo storico delle idee che ha rivendicato fortemente la tesi
per cui il pensiero non è appannaggio esclusivo dei filosofi, ma viene
espresso dagli artisti come dai teorici politici. E da tutti coloro che,
di fronte alle minacce alla libertà e alla dignità degli individui,
sono capaci di testimoniare e resistere, come i grandi Resistenti (da
Pasternak a Luther King ed Etty Hillesum) del suo ultimo libro.