La Stampa 9.2.17
“Queste rivolte favoriscono Le Pen
Il suo partito può vincere le elezioni”
Lo storico Le Bras: ma se perde il Front National si spaccherà
di Francesca Paci
Da
quasi mezzo secolo Hervé Le Bras indaga il tessuto sociale della sua
Francia che rifiuta le differenze etnico-religiose nel nome della
République ma torna ciclicamente a farci i conti. Come in queste calde
settimane che ci separano dalle elezioni presidenziali.
Gli scontri in banlieue seguiti alle violenze sul giovane Théo gonfieranno il gradimento di Marine Le Pen come nel 2005?
«È
possibile ma è possibile anche il contrario. Per ora la Le Pen non
vola, è cresciuta molto all’inizio del mandato di Hollande passando dal
18,5% al 28%, ma con l’ingresso sulla scena di Fillon è scesa al 23% e
ora è tornata al 25,5%. La situazione è fluida anche perché su di lei
pesano le inchieste, le tasse non pagate, ombre che non influenzano i
suoi fedelissimi ma gli indecisi forse sì».
Quanto pesano le banlieue nella campagna elettorale?
«È
un peso percepito più che reale, un peso ideologico. Le roccaforti
dell’ultradestra non sono nelle grandi città o nei quartieri a ridosso
delle banlieue ma nella Francia periurbana, più remota, dove il consenso
del Front National è inversamente proporzionale al numero dei
migranti».
La Francia potrebbe seguire le orme degli Stati Uniti, dove Trump ha potuto contare sul revanscismo dei bianchi?
«Direi
di no perché in Francia il razzismo è meno diffuso, non ci sono per
esempio statistiche etniche. Al netto di molti problemi d’integrazione -
sociale più che etnica - la Francia ha il numero di coppie miste più
elevato d’Europa. Inoltre si parla sempre dei momenti di rottura ma è un
fatto che tra le seconde e le terze generazioni c’è sempre più classe
media e che i migranti in arrivo oggi sono assai più scolarizzati di 30
anni fa».
Due anni di terrorismo non hanno esacerbato gli animi?
«In
parte sì, ma il terrorismo ha radici complesse. L’attentatore del
Louvre veniva dalla borghesia egiziana, aveva studiato, era figlio di un
ufficiale».
Da cosa dipende allora il successo che accompagna la Le Pen?
«C’è
una profonda frustrazione sociale, molti francesi oggi hanno studiato
ma diversamente dai genitori non hanno una posizione equivalente al
proprio titolo di studio. Nell’82 solo un disoccupato su 4 era diplomato
oggi lo sono almeno 4 su 5. Lo scandalo Fillon, che ha assunto il
figlio spiegando che era bravo, è sintomatico della malattia della
Francia: più che la discriminazione pesano le relazioni sociali, a
parità di preparazione conta il network e i network sono sempre gli
stessi».
Fillon è ancora in corsa?
«In teoria no ma la
destra non ha un piano B e Fillon usa questo argomento, l’unico che ha.
Certo se si ritirasse, se le rivelazioni indebolissero Macron...»
Insomma, Marine può vincere?
«Finora
era impossibile. Nel libro “La République des idées. Tripartisme contre
démocratie” spiego che in una Francia con due grandi partiti, destra e
sinistra, non c’è spazio per le ali estreme ma che con un terzo partito
tutto sarebbe diverso».
Siamo a quel punto?
«Mancano due
mesi e tutto può capitare. Credo però che la Le Pen possa vincere solo
in caso di ballottaggio con Hamon. Se invece dovesse perdere o prendere
meno del 28% il Front National potrebbe spaccarsi: oggi è compatto
intorno alla chance di vincere ma, dalla vecchia guardia di Jean-Marie
Le Pen ai “liberal” di Philippot, tiene insieme anime diversissime».