La Stampa 8.2.17
Un resort di lusso o un polo museale cancellano il passato che imbarazza
Il sindaco: presenza penalizzante. La direttrice: ospiti iniziative sociali
di Flavia Amabile
L’ultimo
paziente internato dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo
Fiorentino è andato via alle undici meno un quarto. Sono venuti in auto
da Umbertide per portarlo in una comunità.
Non era la libertà
totale che l’uomo avrebbe voluto ma non è nemmeno più la detenzione
nell’edificio dall’architettura austera e un po’ sinistra, schizofrenico
anche nella sua storia. E’ stata la preferita delle ville di campagna
di Ferdinando I dei Medici. Ma è stato anche il primo manicomio
criminale d’Italia e ha continuato a esserlo anche quando ormai
formalmente era stato trasformato in ospedale psichiatrico giudiziario.
Tutti
sapevano delle condizioni in cui i pazienti detenuti tra le mura
dell’antica villa medicea erano costretti a vivere: sette persone in una
cella, le urla, la sporcizia, i casi più difficili legati mani e piedi
alle sbarre di un letto. Fu la commissione del Senato presieduta da
Ignazio Marino a denunciare la situazione nel 2011. Da allora per l’opg
di Montelupo Fiorentino è iniziata un’era diversa. Antonella Tuoni, la
nuova direttrice, dopo una lunga battaglia è riuscita ad abolire la
contenzione dei malati e ha provato anche a portare un lato umano
all’interno dell’ospedale con letture, teatro, film, attività di
recupero dell’edificio rimesso a posto dai detenuti.
Quella che si
è lasciato alle spalle con un sorriso l’ultimo internato è una
struttura molto diversa da quella raccontata da Marino e dagli altri
componenti della commissione. Le celle superaffollate si sono
trasformate in stanze dove al massimo convivono in due, mentre i cento e
oltre malati presenti ancora fino a due anni fa venivano lentamente
trasferiti altrove. I pavimenti, i bagni, le pareti: tutto quello che si
poteva rifare è stato rifatto per una spesa di oltre sette milioni di
euro.
Ieri è stato l’ultimo giorno della reggia di Montelupo
Fiorentino come ospedale psichiatrico giudiziario ma la struttura resta
in funzione come luogo di detenzione per condannati che mentre erano in
carcere hanno sviluppato disagi, problemi mentali e per altri che invece
hanno commesso reati contro familiari, contro minori, o che non sono
tollerati dagli altri detenuti. In totale a Montelupo sono in nove in
queste condizioni. Si stanno cercando delle soluzioni ma nel frattempo
la vita va avanti come sempre. Biagio, il detenuto cuoco, prepara ogni
giorno pranzo e cena nella cucina e porta le pietanze nelle celle con un
carrello. Massimo, un ex pugile, pensa alla figlia di dodici anni e si
mantiene in allenamento con le corse e le passeggiate nel giardino.
Il
paese non vede l’ora di sbarazzarsi anche di loro. Il sindaco ha più
volte ripetuto che la presenza di «una struttura carceraria sia
incompatibile con il recupero di un pezzo importante di città». Ci sono
molti progetti: si parla di un resort di lusso, di un polo museale o per
convegni. La direttrice del carcere non è d’accordo e ha espresso il
suo dissenso in diverse occasioni: «Non comprendo come mai si debba
chiudere un istituto perfettamente ristrutturato che potrebbe da domani
accogliere 160 persone decongestionando le altre carceri toscane e
migliorandone così le condizioni di vita». Non solo. «Non comprendo -
aggiunge - perché non si possa fare la manutenzione della villa medicea e
sfruttarne la potenzialità quale polo museale, espositivo e
convegnistico impiegando manodopera detenuta».
È una vera
battaglia fra chi vuole conservare la vocazione sociale dell’edificio e
chi vuole renderlo un reddito per il pubblico o il privato. Nel
frattempo ieri sera i nove detenuti rimasti hanno mangiato la pasta e
fagioli cucinata da Biagio e ai fornitori che arrivavano chiedendo se
era finita, in portineria la risposta era una risata: «Finché siamo qui
noi tutto va avanti come sempre». Per quanto ancora resisteranno?